BRIGANTI SICILIANI

VINCENZO CAPRARO

ANGELO PUGLIESE

detto don Peppino il Lombaro

 

VINCENZO CAPRARO - Il "Giornale di Sicilia", riportando nell’autunno 1878 il resoconto del processo di Domenico Sajeva, a proposito di Capraro di Sciacca, scriveva: "Nacque pastore da pastori di Sciacca e come tutti i pastori intelligenti e laboriosi ottenne la sua promozione a fattore nella fattoria del signor Casandra. Il fattore però lasciò scoprire un giorno al signor Casandra che egli era un malandrino di prim’ordine". Sul n. 201 del "Giornale di Sicilia" del 24 agosto 1878 si faceva un quadro quanto mai efficace della terribile attività della banda di Capraro: "Capraro era a Sciacca, ma i suoi quattordici gregari erano di Sambuca, di Contessa, di Giuliana, Santa Margherita e Castronuovo comuni posti sui confini della provincia di Girgenti con quella di Palermo. Nessuno dei codesti gregari era di Sciacca. Le grassazioni, devastazioni, assassinii, ribellioni armate, estorsioni e ricatti della banda Capraro dal 1868 al 1878 furono innumerevoli, i soli reati principali denunciati e conosciuti furono non meno che 38 e fra essi erano non meno di nove sequestri di persona." Il quartiere generale di Capraro era ubicato nelle montagne tra Giuliana, Burgio e S. Margherita, al confine tra le province di Agrigento, Palermo e Trapani. Come altri masnadieri aveva scelto una località di confine fra diverse province per sottrarsi alla sfera di competenza delle relative polizie. Sulla banda Capraro sul mutuo soccorso fra le bande armate operanti nelle province occidentali dell'isola sulle protezioni che le stesse bande godevano, il Prefetto di Palermo, in un rapporto di Gabinetto del 30 luglio 1874, scriveva: "L’unica vera banda, composta non si sa con precisione se di 9 o più malfattori tutti a cavallo, sarebbe quella comandata dal Capraro nella provincia di Girgenti e questa, com’è solito fare appena passato l’inverno, è a fare le sue scorrerie in questa provincia. La immediata unione di questa grossa e audace banda dei circondari di Termini e di Cefalù è stato un fatto nuovo ed invero meritevole di studi. Infatti, come se esistesse un piano preconcetto, il bandito Leone, Di Pasquale, Rocca e Rinaldi si sono subito associati alla banda Capraro e con essa compirono tutti quei delitti che tennero in continuo timore le popolazione delle campagne ed offrirono argomento alla stampa". Sempre con Leone e Rinaldi, nell’aprile del 1875, spalleggiato dai briganti Alfano e Merlo, Vincenzo Capraro cercò di sequestrare, senza però riuscirvi, il possedente Stivala di Cerami. Nel giugno del 1875 restò nella trappola tesagli dalle forze dell’ordine e venne trucidato nel conflitto a fuoco che ne seguì; i giornali riportarono con rilievo la notizia della fine del pericoloso elemento. Il "Giornale di Sicilia" del 4 Ottobre seguente, riferendosi a quanto aveva pubblicato la "Gazzetta di Girgenti" del 2 Ottobre, scrieva fra l’altro: "Il feroce e famigerato Vincenzo Capraro che da molti anni teneva in allarme con le sue audaci e sanguinarie imprese la provincia di Palermo, la nostra e quella di Trapani, e nel quale era personificata la vera mafia malandrinesca militante, quest’uomo insozzato dei più audaci e nefandi misfatti, che viveva coi suoi di ogni sorta di ruberie, che negli scontri frequenti con la forza pubblica vide in passato cadere a sé d’intorno ed arrestati e uccisi i più audaci e feroci briganti della Sicilia senza incapparvi esso mai, fece anch’egli la fine comune ed inevitabile a tutti i masnadieri, vale a dire cadde ucciso sotto il piombo della forza pubblica".

 

ANGELO PUGLIESE - Il brigante Angelo Pugliese, nato a Lungro, povero villaggio della provincia di Cosenza, era noto come don Peppino il Lombardo, un pastore che s’era fatto bandito e che, condannato all’ergastolo, era stato tradotto all’isola di Santo Stefano, dove aveva avuto come compagni Silvio Spaventa e Luigi Settembrini.. Fuggito dall’Arsenale di Palermo dove era stato trasferito, costituì una banda arruolando briganti come Filippo Magnafridda, Masi, Lo Cicero, Valvo, Salpietra e Randazzo, tutti nomi che, assai presto, sarebbero stati sulla bocca di tutti. Con Pugliese, che si specializzò in grassazioni e in sequestri di persona, il brigantaggio perse la sua primitiva ed estemporanea individualità e passionalità per diventare disciplina e organizzazione, ma con una novità speciale: quella dello scioglimento della "comitiva" al compimento di ogni impresa, per essere, poi, riunita, a tempo debito, nel cosiddetto Giardino Nicolosi, dal nome dei proprietari complici: benestanti e senza sospetti, che lo avrebbero tradito per una croce di cavaliere e per farsi dei meriti con i nuovi governanti. Il Pugliese, infatti, aveva sciolto la banda e si era rifugiato a Susa di Tripoli, cangiando idee e mestiere, ma ebbe fatta la spia proprio dai fratelli Nicolosi, che se ne facero vanto procurandosi biasimo e disprezzo da parte della gente. Giovanni Nicolosi ebbe i ringraziamenti ufficiali del prefetto Gualtiero e il fratello Francesco, che era avvocato e sindaco di Lercara, ricevette la croce mauriziana e il diploma in "riconoscimento di un nobile risultato".

 

da "IL BRIGANTAGGIO IN SICILIA" in

http://progetti.webscuola.tin.it/progetti2000/844/s.vito%20lo%20capo/index.htm

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