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 E li chiamavano BRIGANTI

 

di Raffaele RAGO

da: http://www.battipagliaonline.com/tempo/cultura/prose.asp?poesia=142

Sono sempre più convinto che se si fosse più onesti nel presentare in modo non deformati i fatti che portarono all’unità d’Italia, molte dispute, molti avvenimenti, molto romanticismo sul risorgimento italiano cadrebbero, assumendo un realismo storico, che farebbe bene all’educazione delle future generazioni. Nel film propinatoci da Rai Uno: "Maria Josè", i Savoia sono stati presentati come reralmente sono stati, infatti, chi legge la storia senza paraocchi, può rendersi conto quali danni hanno arrecato alla nazione italiana, che, con la collaborazione di una classe politica non sempre all’altezza della situazione, è stata ingannata, rovinata e distrutta nei suoi valori più genuini. Con i miei articoli ospitati da "Il Saggio", nel mio piccolo, cerco di far comprendere i guasti che i Savoia hanno fatto all’Italia ed in special modo al nostro Sud. Basta seguire qualche conferenza sul nostro Meridione, per comprendere che, ai nostri giorni, dagli storici di regime "si sente ripetere che la dissoluzione del Regno delle Due Sicilie, uno dei più antichi d’Europa, durato, nella sua integrità territoriale ed istituzionale, per oltre sette secoli, sia riconducibile al fascino irresistibile "dell'eroe dei due mondi" o alla spada snudata di V. Emanuele II, "non insensibile al grido di dolore", levatesi in tutta la Penisola, o alla fine intelligenza politica del Cavour". (Silvio Vitale, "La difesa del Regno"). Da questa retorica risorgimentale si sono saziate a iosa non solo l’istruzione nelle scuole, "ma anche molta cultura accademica, che, però, si rivela a un sia pur minimo approfondimento superficiale e faziosa". Gli storici di regime vogliono far credere che la repressione della rivolta popolare del Sud contro i Savoia, che durò più di cinque anni, non fu altro che "una legittima operazione di polizia interna". Tutti gli avvenimenti che interessano l’unità d’Italia dovrebbero essere analizzati non più unilateralmente, ma in modo globale ed inseriti in un quadro storico di più ampio respiro. La distruzione del Regno delle Due Sicilie si ebbe, non per il valore di Garibaldi, ma esclusivamente per i tradimenti di comandanti e generali assetati di soldi: i Marino Caracciolo, i Landi, i Lanza, i Brigante, gli Alessandro Nunziante, i Pianell, che impedirono (questa è verità!) ai soldati di combattere e di vincere. Se avesser fatto il proprio dovere, a Calatafimi il Nizzardo ed i suoi straccioni avrebbero visto vincere. Purtroppo la storia non si fa con i "se" e con i "ma", epperò il tradimento, sempre infamante, resta. Nei disegni del Piemonte non c’era assolutamente l’unità, ma semplicemente "l’assoggettamento alla corona sabauda e l’annullamento di ogni autonomia, in funzione di un rigido centralismo statale", infatti il sovrano conserva il titolo "Vittorio Emanuele II" nel momento in cui viene eletto re d’Italia, invece doveva dirsi primo. Quando si sostiene che "l’unificazione forzata al Piemonte sia l’unica strada praticabile a sostegno degli interessi complessivi della Nazione si spaccia un’altra menzogna. Risultano esclusi dal complesso degli interessi quello dei ceti contadini ed operai. Non a caso", scrive ancora lo storico S.Vitale, "V.Emanuele viene detto ‘re galantuomo’, non perché particolarmente onesto, ma perché sostegno dei ‘galantuomini’, ovvero di quella parte della borghesia che dovrà ottenere tutte le provvidenze dal nuovo regime, mentre i ceti più deboli dovranno perdere ogni tutela ed accomodarsi a infoltire le schiere degli emigranti". Non bisogna ,a questo punto, sottacere il risvolto ideologico della politica del Piemonte, che ispirato sia dalla massoneria che dalle "prediche" di Mazzini, cercava di distruggere "la religione cattolica che costituisce invece il maggiore fattore unificante della nazionalità italiana". Scusami, o mio caro lettore, se abuso ancora della tua pazienza, ma prima di terminare devo farti toccare con mano quali erano le vere intenzioni dei Savoiardi per "unificare" l’Italia. L’esercito piemontese (per essere più precisi:degli "eroi") comandato da ufficiali incompetenti, violenti e carnefici, che avevano collezionate solo sconfitte, prima di "scendere" nel Meridione, combattendo con eserciti bene armati, schierò, con la scusa di eliminare il vasto moto del Sud, un esercito di più di 120.000 uomini, i quali saccheggiarono ed incendiarono paesi, non risparmiando, nelle loro razzie, la popolazione civile, fucilarono o uccisero oltre 5.000 ‘briganti’, imprigionarono, solamente perché sospettati, migliaia di cittadini, mentre altri furono deportati e fatti morire al Nord nei campi di concentramento piemontesi e mi fermo qui. Da tutto questo si può dedurre "la incongruenza e la capziosità della definizione ‘briganti’". A questo punto, se vi stupite di quello che ho scritto, aprite un libro di storia di regime e vi renderete conto cosa viene scritto su questo periodo e certamente gli eroi saranno: i Piemontesi, la massoneria, i traditori, gli arrivisti, i voltagabbana, i camorristi, ecc, mentre i delinquenti incalliti, gli incivili, i parassiti, i violenti, in una sola parola "i briganti" sono i nostri Avi, che, attaccati alla famiglia, al loro re, alla chiesa, non potevano non innalzare "la loro bandiera e a sopportare guerra, carcerazioni ed esili, fino al sacrificio della vita" e quel carnefice di Cialdini (forte e borioso solo contro i più deboli) alla resa di Gaeta, non volle rendere l’onore delle armi agli autentici eroi della guerra, certamente non voluta dai Borboni.

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