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Brigantaggio del Matese

da: " Dai Sanniti all'Esercito Italiano" - Stato Maggiore Esercito " di: Flavio Russo

1863: il brigantaggio riesplode sul Matese

Superata la riqualificazione tattica e l'abituale quiescenza invernale, agli inizi della primavera del '63, il brigantaggio sul Matese si ripropose con accentuata virulenza. Restava ancora persino qualche grossa formazione, come quella del Caruso, che per la maggiore ideologizzazione - pur nei limiti evidenziati- continuava a rappresentare una temi bile potenzialità insurrezionale. Infatti la sua stessa esistenza, e delle similari, confermava la permanenza della primitiva insorgenza legittimista, assurgendo a concreto riferimento per le languenti illusioni dei nostalgici e per la dilagante rabbia dei diseredati, giustificando quasi il persistere nell'ex sovrano, dopo due anni di esilio, di certezze restaurative, esplicitate in una sua lettera aperta dei primi giorni del '63.

RISPOSTA DI SUA MAESTA’ IL RE

Ai Delegati delle città di Napoli e di Palermo, delle Provincie Continentali ed insulari del Regno Nel tempo in cui da ogni angolo del territorio Napolitano e Siciliano mi pervengono indirizzi coperti di migliaia di firme, lusinghiera memoria di fiducia ed attaccamento, sono oltremodo sensibile alle espressioni di affetto e di fedeltà, che a nome delle Ventidue Provincie del Regno venite a presentarmi pel nuovo anno, espressioni di auguri e di speranze tanto più grate al mio cuore, in quanto che esternano i sentimenti delle nostre leali ed infelici popolazioni.

Vi ringrazio, con tutta l'effusione della mia anima, evi prego di trasmettere a quelli che vi han fatto organo dei loro voti, la testimonianza della mia viva riconoscenza. Esule dal Trono e dalla patria tutti i miei sentimenti, i pensieri costanti di tutti i giorni si rivolgono ai miei amati ed infelici sudditi, alla dolce terra dove ebbi la luce, dove riposano le ceneri dei miei antenati. Non è la perdita di un trono, non le miserie che accompagnano l'esilio, quello che addolora di più la mia anima. In mezzo alle sventure personali, sento che il mio cuore rimarrebbe forte e sereno, se non dovessi assistere con inesprimibile angoscia allo spettacolo dell'oppressione, della rovina, della schiavitù de' miei popoli. Il soffio dell'aria nativa, si dolce per l'esiliato, non mi reca qui l'eco delle fucilate, che ogni giorno colpiscono oscure e fedeli vittime, le scintille dei paesi bruciati dal barbaro invasore, i lamenti degli infelici ammucchiati nelle carceri, o le grida degli agricoltori, i cui campi sono devastati da bandi draconiani de' Prefetti piemontesi. Abbiamo fiducia in Dio. Vedete che, come tutte le opere della iniquità umana, l'opera piemon­tese è colpita di sterilità, segno fatale di decadenza e morte. Tanti decreti, tale cumulo di misure, tanto cambiamento di regime nelle Due Sicilie, ora di Dittature, ora di Luogotenenze, già di Prefetti, tutte queste prove fatte in due anni a che han mai servito? A che han servito le lusinghe, le calunnie ed il terrore? A che l'incendio d'inermi paesi, le ecatombi umane rinnovate ogni giorno nelle nostre provincie? Le carceri sono piene di detenuti: e si lagnano che si cospira ancora. Lo stato d'assedio è stato per molti mesi il solo mezzo di governo, ed i mali ed i pericoli che doveva estirpare sono invece cresciuti. La vita degli infelici popolani si trova nell'arbitrio dell'ultimo caporale, che comanda un distaccamento di truppa; i bandi delle nuove autorità, leggi inumane di sospetti, sottomettono alla passione o al capriccio la vita e la fortuna de' proprietari e de' campagnoli; e le milizie Realiste però si estendono, e combattono ogni giorno con maggiore ardore ed accanimento. Le contribuzioni sono moltiplicate, i beni della Chiesa usurpati e venduti; tutte le ricchezze, accumulate da un savio sistema di risparmio, dilapidate, ed il Tesoro della usurpazione è sempre esausto. Il suo budget presenta un deficit normale spaventevole, ed il valore della rendita oltrepassa di poco la metà del prezzo, a cui erano giunte le nostre negli ultimi anni di nostra indipendente Monarchia. Aspettiamo con dolore, ma con calma. Lasciate a quelli pei quali la storia non ha insegnamenti ne esempi, credere alla violenta annessione della prima Monarchia italiana, alla morte diffinitiva di un Regno, che, a traverso tanti secoli e tante dominazioni straniere, ha sostenuto gelosamente la sua autonomia, e conservate le frontiere tracciategli dai fondatori; che ha veduto passare tanti sconvol­gimenti e conquiste, avanzando sempre nell'opera dell'indipendenza nazionale. Lasciate che quegli illusi veggano in un mero accidente rivoluzionario l'assetto definitivo delle sorti di un gran Regno. Lasciateli sognare che si sradicano così facilmente le Dinastie, e si uccidano le Nazìoni. Come voi, non dubito, non ho dubitato giammai del mìo ritorno. Non ho dubitato, quando ìn giorni di tradimenti e di sventure lasciai Napoli, la mia patria, la mia capitale, la mia privata fortuna, le mie risorse dì Governo per conservare ìllesa la diletta Metropoli. Non quando soldato della indi­pendenza nazionale difendevo il decoro del mio nome e l'onore della nostra armata sulle linee del Volturno e sulle mura dì Gaeta. Questa fiducia assoluta nella giustizia della mia causa, questa riso­luzione di riconquistare ad ognì costo l'indipendenza del mio paese sono la fede e la consolazione del mio esilio . E come dubitarne, quando più di due anni sono scorsi dopo la mìa assenza, e da per tutto mi giungono testimonìanze dì amore e di rispetto, di fiducia e rimembranze de' mieì sudditi? Quando vedo la parte più numerosa e consìderevole della Nobiltà del Regno, condannarsi volontariamente all'ostracismo per seguire la mia causa; quando, con rarissime eccezioni, si astiene quella che è ri­masta di parteggiare in alcun modo con l'usurpazione; quando da tutti i Comuni del Regno mi offrono, Proprietari e Contadini, la loro vita e servigi; quando contemplo quel nobile popolo ab­bandonato da tutti, senza verun appoggio, senza istigazione mia (voi 10 sapete) lottare contro I'op­pressione straniera, e morire pronunziando il mio nome, dico a me stesso, che una causa sostenuta dalla giustizia, e radicata in tanti cuori non può soccombere, e che l'avvenire è suo. Ma, quando giungerà il giorno inevitabile della restaurazione (ponderatelo bene) l'opera di rendere la pace e la proprietà ad un paese rovinato è delicata e difficile. Avrò bisogno dei lumi, del concorso di tutti. Dite a quelli che v'inviano, che i miei principi sono inalterabili ed immutabili le mie intenzioni. L 'amnistia, il perdono pei fatti politici passati sono un sentimento del mio cuore, e la massima cardinale della mia politica. Sotto l'egida di un regime sinceramente rappresentativo, potrà il paese efficacemente intervenire nella sua amministrazione e nel suo governo; applicando tutte le nostre forze alla grande opera della sua rigenerazione politica. La Sicilia, da canto suo, avrà indi­pendenza economica, amministrativa e parlamentaria; e Palermo parteggerà con Napoli l'onore di essere la residenza del Monarca. Inculcate bene e fate diffondere da per tutto queste idee. Dissipate i timori, che procura la rivoluzione d'insinuare, di reazioni personali, di castighi, di vendette. Tali cose non le permetterebbe il mio cuore. Raccomandate nel mio nome a tutti la concordia. Ripetete a ciascuno che fra quanti ebbero natale al di là del Tronto non voglio conoscere nemici; voglio solamente vedere in tutti figli e com­patrioti, la cui unione è necessaria per risanare le piaghe del nostro desolato paese. Rammentate a tutte le forze indigene, che esse sono ordinate per tutelare la proprietà e la sicurezza dei Cittadini, per sostenere e non per combattere le coloro aspirazioni di patriottismo e d 'in­dipendenza: che si ricordino che sono Napoletani e Siciliani, che verrà presto un giorno, in cui avrà bisogno della loro devozione il proprio paese; ed allora meriteranno bene dalla patria, ed io sarò lieto di mostrar loro la mia stima e gratitudine. Che i popoli delle Due Sicilie considerino la loro forza, la loro popolazione, il loro territorio in paragone del resto d'Italia, rammentino la loro storia, ed in essa troveranno nobili esempi. Non aspettino di poter conseguire la loro redenzione dallo straniero solo. Quando il momento sarà giun­to, la giustizia di Dio, e l'equità dei popoli saranno con essi. Sappiano far da loro, ed il mondo intiero plaudirà ai loro sforzi. Vi ringrazio di nuovo, Napoletani e Siciliani, del vostro attaccamento e de' vostri auguri, e da questo asilo, dove sono colmato delle più affettuose dimostrazioni e della paterna ospitalità di Colui, che rappresenta sulla terra l'Eterna Giustizia ed a cui fu affidata dalla Provvidenza la difesa del­l'oppressa virtù, spero fra non molto di trovarmi presso di voi, vedervi intorno a me concordi, forti e felici; quando, stendendo una mano amica e fraterna ad altri Stati d'Italia, avrò la gloria di aprire le porte dei parlamenti veramente nazionali, nelle due grandi metropoli del Continente e della Sicilia.

Da Roma, Palazzo Farnese ai 16 di Gennaio 1863.

firmato: Francesco II

Sul Matese quindi riesplose la conflittualità guerrigliera, quasi che la spietata repressione non avesse profondamente sconvolto le formazioni. Ma alle bande decimate o distrutte subentravano nuovi adepti od addirittura altre intere compagini, provenienti da località esterne al massiccio, facendo sembrare inesauribile la disponibilità umana ed assolutamente vani il compito ed i successi delle forze dell'ordine. Del resto considerando che la massa dei briganti, stimati per l'altipiano intorno al migliaio su circa 35 bande mediamente, finiva per gravare su popolazioni molto povere, senza vistosi rinnegamenti, confermava una sostanziale condivisione e compartecipazione di quelle alla lotta, magari in maniera passiva, esasperando per conseguenza la logica della repressione. Il perdurare della precaria situazione ingenerava perciò nelle autorità politiche e militari una inderogabile esigenza di una chiara e duratura normativa, che superasse quella di emergenza o comun­que eccezionale già da troppo in vigore, ripristinando almeno sotto il profilo istituzionale una par­venza di legalità. Si sarebbe in tal modo ridotto l'arbitrio, ed avviata una nuova fase offensiva contro il brigantaggio, peraltro da più parti auspicata, ed in particolare contro i suoi manutengoli e fiancheggiatori . Si cominciò col discutere una legge di repressione del brigantaggio elaborata in maniera dettagliata ed accurata. ma si finì, il 1° agosto 1863, per approvare a tambur battente. la proposta di legge d 'iniziativa del deputato Pica e di altri 41 altri della Destra. La legge Pica si limitava a legalizzare i modi della repressione già praticati da tempo e solo in parte introduceva grosse novità quali la competenza dei tribunali militari a giudicare civili e favoreggiatori del brigantaggio, ma provocò appassionate polemiche tra i giuristi e nell'opinione pubblica proprio per la complessità del fenomeno del manutengolismo. In pratica purtroppo i tribunali militari non si vollero per una maggiore affidabilità e funzionalità rispetto ai civili, quanto invece per incrementare la diffusione del salutare terrore e legalizzare l'effusione di sangue, con il risultato complessivo di accrescere 1'arbitrarietà che si era voluto sia pur larvatamente circoscrivere. Unico elemento positivo della deprecata legge era la sua lapidaria chiarezza, mirante direttamente allo scopo:

LEGGE PICA

Al contempo da più parti si faceva pressione su La Marmora perché avviasse una poderosa controffensiva al brigantaggio, specie laddove maggiormente si avvertivano i suoi effetti destabilizzatori. Avrebbe anzi dovuto proprio in quelle zone porre alla guida delle operazioni repressive un energico e trascinante ufficiale di provata competenza. Dopo una iniziale esitazione il programma trovò la sua attuazione, designandosi a capo della zona militare di Benevento e Molise il generale E. Pallavicini di Priola, che assunse l'incarico il17 settembre del '63. L'obbiettivo prioritario che il generale si prefissò era la soppressione, ormai indilazionabile, della famigerata banda del "colonnello" Caruso, che spadroneggiava sull'intero massiccio. Per conseguire tale risultato prefigurò un impiego massivo delle sue truppe in incessanti perlustrazioni, trascurando completamente il conseguente logoramento, convinto assertore che solo da una siffatta procedura si poteva aver ragione delle ultime grosse formazioni paramilitari, temibili sotto il profilo tattico ma ancor di più sotto quello psicologico, come acutamente aveva evidenziato in una sua lettera il prefetto Sigismondi:

Bisogna distinguere due specie di brigantaggio, locale l'uno, organizzato l'altro. Il primo si può combattere con misure di pubblica sicurezza, si dedica al furto, non si sostiene da solo quando non sopravvengono altre bande. Il brigantaggio organizzato militarmente, come sono le bande di Schiavone-Caruso ed altre, è mantenuto in campagna per far vedere che una parte della popolazione è in rivolta contro il governo, per far credere che essa combatte pel Borbone, per tener vive le speranze del costui ritorno nei suoi occulti partigiani, per creare imbarazzi e fastidi al governo, e ha per iscopo principale mantenersi nello stato attuale ed aumentare il numero. Queste bande capitanate da intrepidi ed accorti condottieri, conoscitori dei luoghi, educati e perfezionati a tal genere di guerra da tre anni di esercizio, subordinano con rara costanza e perseveranza le loro mosse alloro scopo. Quindi evitano i paesi, scorrono continuamente le campagne senza posare per molte ore in un luogo, camminando di giorno e di notte, passano a cavallo per qualunque strada, la più disastrosa che mai; ogni luogo è buono per loro; si forniscono di viveri e di cavalcature nelle numerosissime masserie di questa ubertosa provincia, non hanno direzione determinata e la cambiano a seconda delle circostanze. La loro mobilità è estrema e ciò li pone in vantaggio sulle truppe, la cui azione è tardiva ed inefficace e la combattività scadente.

L'impostazione repressiva del Pallavicini, alla luce dell'analisi del prefetto appare l'unica ottimale, ed infatti già all'indomani della sua estrinsecazione si registrarono numerosi positivi conflitti a fuoco con gli uomini della banda, che innescarono una rapida disgregazione della stessa, tant'è che in data 30 settembre il sindaco di Benevento affermava:

La situazione deplorevole ed umiliante di questa provincia va cangiandosi in meglio. Lo spirito pubblico si rialza, ed i volontari accorrono animosi ad iscriversi nei ruoli delle squadriglie, ed i tristi si veggono scorati per le misure di rigore messe in esecuzione contro i manutengoli del brigantaggio. Se questi rigorosi provvedimenti eccezionali sono stati oggetto di critica per taluni, noi francamente ci affrettiamo a dichiarare che costoro non seppero scendere sino ai nostri contadini, ne vedere sino a qual punto i borbonici, i clericali ed i tristi si fossero resi pazzamente audaci nei loro campioni, i briganti. La crescente corruzione delle masse, il sangue cittadino versato a tutta libidine, e i danni incalcolabili che tuttavia si soffrono richiedevano un riparo, al quale non potevano giungere le leggi di una società che vivesse in uno stato normale. Si comprende del pari che i violenti rimedii a gravi mali non fruttano la salute se non quando vengono apprestati da mani abili. A che pare che V .E. inviò in questa provincia il signor generale Pallavicini. E il sottoscritto, interprete dei sentimenti dell'universale, si fa il dovere di esprimere all'E. V. le più sentite azioni di grazie.

L'acclamato miglioramento del contesto esistenziale nella provincia di Benevento, così entusiasticamente esposto dal suo sindaco, nascondeva purtroppo nuove pesanti limitazioni e coercizioni abbattutesi ancora una volta sulle martoriate popolazioni dei centri montani. Infatti il Pallavicini ed il Sigismondi con il manifesto intendimento di far terra bruciata intorno alle evanescenti bande avevano il 18 settembre sancito il rientro, nei successivi otto giorni, di tutti i cavalli nei centri abitati; quindi il24 ottobre la proibizione di trasportare al di fuori degli stessi qualsiasi tipo di viveri eccedente la quantità strettamente necessaria per una persona e per una giornata; infine il divieto ai pastori, ai boscaioli, ai carbonai ed ai contadini di accedere ai pascoli ed ai boschi del Matese, con un immaginabile impatto sulla ormai agonizzante economia, da sempre miserabile. Per di più onde garantirsi 1'inaccessibilità alle numerose masserie isolate, si impose con analoga ordinanza la murazione di ogni loro apertura, finestre comprese. Tuttavia il Matese ed in particolare la sua estremità meridionale continuava a destare apprensione, tanto che il sottoprefetto di Cerreto Sannita si sentì in dovere di relazionare al Pallavicini la complessa topografia dei luoghi e gli abituali itinerari briganteschi. Lo stesso in data 23 novembre inviava sulla base degli espedienti elaborati e concordati con il generale, una riservata confidenziale ai sindaci dei comuni limitrofi, in 14 punti:

1. I coloni dovranno sgombrare tutte le masserie delle quali fu già proposta la chiusura e tutte quelle altre che nei territori montuosi sono situate un miglio al di là dei centri abitati.

2. AI di là di un miglio dai centri abitati non andranno i pastori a pascolare, né i carbonai, nei legnaioli.

3. Di concerto col Comandante Militare locale ogni giorno le Guardie Nazionali occuperanno permanentemente quei luoghi che l'esperienza o sicura relazione avranno additato come facile e frequente ricovero o punto di passaggio dei briganti.

4. Più volte al giorno saranno visitate le masserie, nessuna eccettuata.

5. Nei luoghi ove non esista truppa e le Guardie Nazionali siano costrette a far servizio da sole, i rispettivi picchetti e distaccamenti dovranno necessariamente essere comandati da ufficiali e sot­toufficiali vestiti in uniforme per evitare scambi o altri deplorevoli avvenimenti.

6. Nei luoghi dove esiste truppa, ogni movimento delle Guardie Nazionali dovrà essere concertato col Comandante Militare.

7. Ogni persona sospetta, ove mai i sospetti siano gravi e fondati, potrà essere arrestata e il Sindaco dovrà riferirne immediatamente alla sottoprefettura.

8. I viandanti saranno richiesti delle generalità e perquisiti per verificare se portano armi o carte compromettenti.

9. Perquisire le case all'interno del paese, se si dia sospetto che vi si trovi qualche brigante.

10. Siano impiegati esploratori per riferire i movimenti dei briganti.

11. Ogni sera i Comandanti della Guardia Nazionale a conclusione di qualunque servizio operato nella giornata, ne dovranno partecipare il Sindaco che farà immediato rapporto alla sottoprefettura.

12. Chiunque procurerà l'arresto di un brigante riceverà dalle 30-40-60 piastre (pagabili dal Generale Pallavicini).

13. Nell'Ufficio di ogni Comune dovrà essere sempre pronto un conveniente numero di corrieri a disposizione dei Comandanti Militari.

14. Il Generale Pallavicini si impegna ad ottenere una ragguardevole diminuizione della pena per i briganti che spontaneamente si presentassero. Saranno trattati con la maggiore possibile umanità.

Dal canto suo il generale Pallavicini resosi perfettamente ed otto della impervietà e vastità del tea­tro matesino, al fine di meglio coordinare, rendendola più incisiva, 1'azione dei suoi subordinati, trasferì la sede del suo comando proprio a Cerreto Sannita, da dove in data 24 novembre emanò una dettagliata circolare operativa alle sue truppe:

COMANDO GENERALE DELLA ZONA MILITARE DI BENEVENTO E MOLISE

L'assenza della banda Caruso, la quale è ridotta a termini tali da non più ispirare apprensioni, né alle autorità, né alle popolazioni, m'induce a profittare della tranquillità, in cui trovasi la parte orientale e meridionale di questa Provincia, per intraprendere delle generali perlustrazioni sul Ta­burno, nella Valle dell’Isclero, nella Valle del Calore e sui monti del Cerretano; a questo scopo mi fo ad emanare la seguente Circolare, la quale altro non addita che le norme generali, secondo le quali le truppe dovranno agire; s'intende quindi che spetta a ciascun Comandante di forza di riempire le lacune della stessa, secondo che le località, o le circostanze additeranno al militare criterio di lui.

1. Ogni distaccamento uscirà giornalmente in perlustrazione dal punto assegnatogli come stanza, partendo la mattina all'alba, e rientrando un'ora dopo tramontato il sole.

2. Il servizio di perlustrazione verrà in ciascun distaccamento diviso in due mute: cioè metà dell'intera forza perlustrerà dall'alba al mezzodì, l'altra metà dal mezzodì a fatta sera.

3. Nei distaccamenti al di sotto dei 70 uomini ciascuna metà sarà divisa in due parti, che nell'istessa ora perlustreranno in direzioni diverse; nei distaccamenti al di sopra dei 70 uomini ciascuna metà verrà divisa in tre, o quattro frazioni; così si avranno tre o quattro colonne, che contemporaneamente saranno in movimento in diversi sensi.

4. Il numero ristretto dei briganti, infestanti la Valle del Calore, la Valle dell’Isclero, ed i Monti del Taburno e del Cerretano, permettono la prescritta riduzione delle forze, la quale offre il vantaggio di moltiplicare le colonne, che sarebbero molto poche, se ad ognuna si volesse assegnare un’intera, o mezza compagnia.

5. La perlustrazione, che giornalmente ognuna colonnaeseguirà per sei ore continue, muterà natura a secondo del terreno, delle notizie e dei casi imprevisti: in generale però le colonne in movimento dovranno perquisire le masserie, visitandone le parti più recondite, perlustrare i boschi e fare riposi, mettendosi in appiattimento in quei punti, che lo studio del luogo additerà opportuni.

6. Spetta ai comandanti di distaccamento lo stabilire il giro e le operazioni di ciascuna colonna appartenente alla propria truppa; essi le regoleranno in modo che le stesse masserie siano perquisite anche più volte al giorno.

7. Ogni comandante di colonna è non solo autorizzato, ma anche nell'obbligo di arrestare tutte le persone, che, incontrate sul suo cammino o nelle masserie, desteranno sospetti. Detti arrestati al termine delle sei ore di perlustrazione verranno condotti alla sede del distaccamento, ove dopo la riconoscenza delle autorità Municipali saranno rilasciati, o tradotti in Carcere.

8. Il precedente articolo reclama quindi una scrupolosa visita passata ai viandanti, per vedere se portano armi, o carte compromissive.

9. Ho dato ordini acciò le scafe cessassero di servire al transito del Calore, perciò il passaggio del fiume dovrà solo eseguirsi sui ponti già esistenti. I comandanti dei distaccamenti, prossimi al Calore, per rendere pro­ficua tale mia determinazione, saranno in dovere di occupare giorno e notte con posti militari detti ponti, non che quei luoghi stimati guadabili.

10. Alle guardie ai ponti incombe il dover osservare i passeggieri, arrestando i sospetti ed opponendosi con la forza al transito dei briganti, qualora inseguiti cercassero passare. Sulle guardie alle scafe ed ai guadi pesa la responsabilità di qualsiasi passaggio, che in opposizione degli ordini dati potesse succedere.

11. Visti a distanza i briganti, il comandante di una colonna dovrà muovere con la massima sollecitudine in persecuzione di essi, e seguirli senza interruzione sino a che gli riesce di stare sulle loro tracce. Cammin facendo egli farà degli spari onde dare l'avviso alle altre colonne e distaccamenti, che disseminati nella zona delle nostre operazioni dovranno accorrere, e così possibilmente accerchiarli.

12. Il numero dei briganti che compongono le comitive del Cerretano e montagne adiacenti è assai limitato; però siccome le operazioni si estendono su tre ordini di montagne, così potrebbe succedere, che due o tre piccole comitive riunite costituissero un numero abbastanza superiore a qualche colonna in movimento; datosi tale caso il comandante la forza prenderà una posizione difensiva, avvisando le vicine colonne a mezzo spari (anche se non venisse aggredito), ed a mezzo di corrieri i vicini distaccamenti.

13. Giornalmente tutti gli Ufficiali dovranno uscire, ciascuno alla testa di una colonna, regolandosi questo servizio in modo tale che ad ogni ripresa vi sia almeno un ufficiale.

14. Mi risulta che sovente i briganti inseguiti nei boschi, nelle montagne e nelle masserie trovano ricovero nei paesi; a riparare a questa possibilità i Signori comandanti di distaccamento dovranno stabilire col concorso dei Sindaci e Capitani di G .N. tale una polizia attiva al punto di essere a giorno di tutto il paese, ove essi hanno stanza.

15. L'associazione della G.N .colla truppa, contro il brigantaggio a piedi, può risultare sommamente utile, mentre essa dà a chi comanda persone conoscitrici dei luoghi e degli abitanti, non che forza maggiore per l'a­zione: in conseguenza di ciò i Signori comandanti di distaccamento si concerteranno coi Sindaci e Capitani della G .N., acciò assieme ai quali deve sempre stare un cittadino intelligente e fidato.

16. Lo stesso paese può accogliere forze diverse; in simile eventualità i comandanti le stesse si metteranno di comune opinione sulla ripartizione del terreno, e quindi eseguirà nella zona, quanto viene prescritto nella presente circolare, dovendo così essi riguardarsi come costituenti distaccamenti diversi.

17. Gli scontri e le novità di urgenza mi verranno immediatamente riferite al mio Quartiere Generale con corrieri. Le relazioni poi delle operazioni giornaliere e delle notizie generali dovrà spedirmi ogni mattina all'alba.

18. Il rapporto sul servizio di perlustrazione dovrà essere dettagliato; in esso saranno specificate le co­lonne costituenti le due riprese, il numero dei componenti ed il nome degli Uffiziali e Sotto Uffiziali comandanti le stesse, il cammino fatto, gli agguati, le perquisizioni, gli arresti e le notizie raccolte.

19. Sino a nuovo avviso il mio Quartiere Generale è in Cerreto.

20. Non ho bisogno di fare appello all'attività ed all'energia dei Signori Ufficiali, essi nelle ultime operazioni ne fecero prova con somma mia soddisfazione e con grande vantaggio del paese, che oggi gode dei frutti delle loro fatiche e dei loro sacrifici. La durata delle perlustrazioni, che vanno ad intraprendersi, dipende dallo scopo più o meno presto raggiunto; dunque è all'attività spiegata con intelligenza ed energia dai comandanti le diverse colonne che si deve dimandare un po' di quiete per queste truppe da sì lungo tempo affaticate. Non fo parola di ricompense e di rigori; ognuno sa che sono oltremodo portato a vedere premiato il valore, l'intelligenza, il buon volere, come pure non transigo a fronte dell'inerzia e del difetto d'iniziativa.

Benevento il 24 Novembre 1863

Lo stressante impiego delle truppe ricordato dal generale, che con il suo insediamento a Cerreto Sannita avallava la rilevanza insurrezionale del teatro matesino, produsse gli auspicati risultati: il Caruso, abbandonato dai suoi gregari, venne alla fine catturato, quindi tradotto a Benevento e fucilato. Alle ore 16 del 13 dicembre fu redatto il certificato di morte del venticinquenne cavallaro nativo della provincia di Foggia, altrimenti noto come "colonnello Caruso". Per contro e probabilmente proprio a causa dell'eccessivo affaticamento cui erano sottoposti i reparti impiegati nella repressione un numero senza precedenti di suicidi fra i militari, funestò ulteriormente quei primi tre anni.

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