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Brigantaggio del Matese

da: " Dai Sanniti all'Esercito Italiano" - Stato Maggiore Esercito " di: Flavio Russo

1862: il brigantaggio si ristruttura

L'attenuarsi della virulenza del brigantaggio durante gli ultimi mesi del '61, indusse prematuramente molti osservatori a ritenerlo prossimo all'esaurimento. Purtroppo però si trattava in realtà di una pausa di riflessione, successiva, come accennato, alla conclusione della fase "partigiana" del fenomeno, necessaria proprio per una ricalibrazione delle tattiche operative sconvolte dalla repressione del Cialdini. La contrazione della guerriglia si protrasse poi per buona parte anche nel '62, concorrendo in ciò imprevedibili fattori politici nazionali. Di certo a partire dalla fine del '61, inizio '62 cessarono quasi del tutto le reazioni, e le invasioni dei paesi e si registrò un aumento impressionante contro le proprietà dei galantuomini e in pari tempo contro le forze statali. Quella evidente svolta venne definita come la fine del brigantaggio politico. perché. apparì allora sempre più spoglio di orpelli legittimistici o sanfedisti e sempre più gravido di tratti sociali e classisti. Sembrerebbe ragionevolmente confermare la tesi esposta proprio la promulgazione di un ennesimo bando realista di "arruolamento", ad opera del "colonnello" Caruso, in quello stesso anno, nel quale trova un ampio risalto non già la ormai sterile retorica legittimista, quanto invece una trascinante promessa di ricompense materiali e sociali:

1. Tutti gli iscritti e quelli che si vorranno inscrivere alla compagnia comandata dal Colonnello Caruso, hanno l'obbligo di restaurare sul trono Francesco II e di combattere con tutti i mezzi i liberali, che sono i nemici provati della Santa Chiesa e del Santo Padre Pio IX.

2. Di amarsi tra loro e di garantire la vita del loro Colonnello, che Iddio guardi per mille anni.

3. Chiunque diserta dalle file, dopo aver giurato sul Crocefisso, sarà fucilato.

4. Chiunque muore in battaglia la famiglia del defunto avrà un forte vitalizio da Sua Maestà Francesco II.

5. Chiunque vorrà, in seguito, arruolarsi nell'Esercito di S.M. occuperà il grado di Ufficiale. 6) Chiunque, per sue speciali ragioni, non vorrà far parte dell'Esercito di S.M. avrà un impiego ben remunerato.

Viva la SS. Trinità, Viva la Chiesa, Viva Pio IX, Viva Francesco II.

Il Colonnello Michele Caruso

Parallelamente anche sotto l'aspetto militare si ebbe in coincidenza un analogo cambiamento di strategia repressiva, che in pratica somigliò ad un evidentissimo abbassamento della potenzialità di controllo, a partire dall'insediamento del gen. La Marmora alla testa del VI G.C. avvenuto il 1° novembre del '61. Con l'avvento di La Marmora l'organizzazione delle forze militari passa gradualmente a solu­zioni di largo decentramento. Ma la nuova organizzazione, più capillare e più dispendiosa, inizial­mente aggrava la sproporzione fra compiti e forze a disposizione e offre nuove occasioni alle bande per attaccare i piccoli distaccamenti. Il gen. La Marmora interviene con rigorose disposizioni, per impedire l'impiego delle minori unità nei servizi perlustrativi; ma la limitata disponibilità delle forze, aggravata dalle condizioni sanitarie delle truppe, non consentono diverse soluzioni. Solo dopo l'arrivo di consistenti rinforzi (dopo la proclamazione dello stato di assedio le forze del 6° Gran Comando raggiungeranno gradualmente. circa 120.000 u.) i comandi militari riescono a superare la situazione di stallo e riprendere l'iniziativa. In conseguenza il dispositivo repressivo del La Marmora si configura più che altro come difensivo, deludendo ampiamente le richieste di una maggiore incisività provenienti dagli ambienti liberali e soprattutto dalla classe dei possidenti che si vedeva così abbandonata alle iniziative del nuovo brigantaggio. Divenne pertanto estremamente attuale l'anacronistica proposta del Gallarini relativa all'autodifesa ed alla fortificazione dei Comuni più isolati e minacciati, tanto più che i piccoli presidi militari, consci della loro insufficienza in diversi casi si sottraevano, allontanandosi, al profilarsi di una incursione brigantesca. Tipico il caso di Morcone, paesino aggregatosi intorno ai ruderi di un'an­tica fortezza sannita, che in data 22 luglio con delibera approvata dall'amministrazione comunale, dava mandato all'architetto Lorenzo Della Camera di redigere e quindi di realizzare con gli appositi fondi, un progetto di fortificazione dell'intero centro abitato. Le opere così ottenute sarebbero state vigilate in continuazione da due squadre di Guardie Nazionali. È presumibile che soluzioni analoghe siano state esplicate anche da altri comuni montani, che agevolati dal loro impianto edilizio arroccato, ben si prestavano allo scopo, tant'è che per quello di Cusano Mutri, località d'origine di moltissimi briganti, l'avvocato Achille Maturo poteva asserire, nel 1891: che 1'unico paese fra tutti i limitrofi, che oppose tal resistenza ai briganti, da tenerli sempre lontani, talché talvolta si fossero raccozzati a tanto numero da parere quasi un reggimento ben agguerrito per tentarne lo assalto. È interessante in proposito ricordare però che in quel '62 lo stesso paesino su di una popolazione di 3.944 (maschi 1.952, femmine 1.992 censimento 1862) vantava una guardia nazionale composta di due compagnie con 264 militi attivi e 47 di riserva per un totale di 311, forza di rispettabile entità. Ma probabilmente la notizia più singolare riguardante questo Comune è che proprio in quell'anno si iniziarono i lavori di costruzione di una strada che lo collegava in maniera carrabile con quello di Cerreto Sannita a circa 8 km. di distanza. La predetta strada rotabile si snodava lungo la selvaggia gola del torrente Titerno, unica immissione alla "valle nascosta" di liviana memoria. Ci sembra, e per l'eccezionalità dell'evento lungamente atteso -non verificandosi nessun'altra opera pubblica equivalente sull'intero massiccio e per la rilevanza che assunse in quel contesto, indispensabile aprire una breve parentesi. Per meglio valutare l'isolamento nel quale versavano i paesi del massiccio, così una relazione del 1858 sulla viabilità di unico allaccio del suddetto centro notificava: la situazione topografica di questo Capoluogo e di Civitella è quella di rimanere al piede di una corona di montagne che 10 circondano in modo che per mettersi in comunicazione per la via di Cerreto col capoluogo della provincia, Napoli ed altri simili luoghi è forza percorrere una strada pericolosa e spaventevole a traverso una stretta gola di montagne tra balze, dirupi e fossare che l'avventurarsi in essa vuoi dire esporsi a poco men che certa perdita della vita. L'occhio vigile, la sollecitudine del Real Governo dovrebbe prender di mira questo grave inconveniente, sul quale qualche volta si è pur soffermato il Consiglio Provinciale, e ciò nel senso di non rifiutare alle dette amministrazioni comunali, a spesa della Provincia, la quale ritrae oltre ducati 400 annui di ratizzi, i mezzi non dirò per formare una rotabile, ma quelli almeno di restaurare l'attuale strada (mulattiera di epoca sannita n.d.A.), e divergere quella parte di essa più orridamente pericolosa. E poiché fatti continui di feriti e di morti non mancano, da ciò segue quel malcontento contro l'amministrazione provinciale che non sopperisce agli urgenti bisogni delle popolazioni di Cusano e nonché di Pietraroja, come del resto di molti altri paesini nelle medesime condizioni di viabilità. Sopraggiunta l'unificazione nazionale ed apparendo indispensabile per un efficace controllo militare del territorio l' apertura della predetta strada, in data 16/9/1861 furono appaltati i lavori che iniziarono in pratica soltanto nel '62.

Da una seconda relazione, questa volta del Regio Delegato Straordinario, maggiore Maurizio Vitale Buzzi, redatta in data 1882, siamo in grado di ripercorrere le fasi salienti dell'esecuzione dell'o­pera pubblica, ed al contempo del malcostume imperante ed impunito, così sintetizzate dall'ufficiale: iniziativa della costruzione della strada merce un dono di L. 21.500 (5000 ducati) fatta da un benefico Cusanese; appalto della medesima e dopo consumate L. 43.000, abbandono del lavoro per parte dell'appaltatore; continuazione di costruzione a pretesa economia; riappalto di detta strada in seguito a clamorosi reclami della popolazione che vedeva dissipare svergognatamente i suoi denari, i quali andavano ben altrove che non nella strada; angarie di ogni sorta e fuga disperata del nuovo appaltatore.; finalmente ripresa dei lavori per parte dell'Amministrazione Comunale a carico del fugace appaltatore.

In conclusione, per la costruzione di detta strada si pagarono fino al 1862 lire 21.500, dono dell'egregio patriota, si sono spese dal Comune altre lire 21.500. Infine. il Governo pagò per sussidio lire 50.555, la Provincia lire 42.373,90, la Congregazione di Carità lire 20.704,. i naturali contribuendi per prestazioni in natura l'equivalente di lire 10.875,01, totale lire 146.008,30; il resto cioè lire 106.054, 09 fu sborsato dal Comune e un tratto di strada di circa 8 chilometri ha costato l'enorme somma di lire 330.000. Ma il più grave si è che i primi quattro chilometri costrutti negli anni 1862-63 costarono lire 43.000 cioè in ragione di lire 10.750 il chilometro, e per gli altri quattro il costo salì alla spaventevole somma di. lire 71.850 il chilometro. Ed una tale strada costruita, a sì caro prezzo, se non vi si pone pronto riparo, specialmente per i muri ed i parapetti, finirà per diventare una derisione, anzicché un beneficio.

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