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Brigantaggio del Matese

da: " Dai Sanniti all'Esercito Italiano" - Stato Maggiore Esercito " di: Flavio Russo

1861: il fenomeno divampa

Agli inizi del 1861 si formarono sul Matese le prime bande, dandosi in breve una adeguata organizzazione ed una appropriata struttura. Le nascenti comitive brigantesche presero quindi ad aggirarsi ad immediato ridosso dei centri abitati, con il duplice intento di fomentare la serpeggiante ribellione dei "cafoni", tra i quali attingevano nuovi proseliti, e di attaccare le casermette della Guardia Nazionale procurandosi in tal modo altre armi. Il sindaco di Piedimonte ad esempio relazionava al Governatore di Terra di Lavoro, in data 5 marzo 1861 le sue crescenti preoccupazioni:

"Signore ella con l'ultimo suo ufficio ordinava l'arresto de' soldati del disciolto Esercito Napolitano. Dalle raccolte informazioni posso assicurarle che da qualche sera si riuniscono fuori dell'abitato al numero di circa 60, e cospirano sul modo da tenersi per sorprendere il posto di Guardia Nazionale ed armarsi. E per meglio riuscire nel cattivo proposito sento che abbiano aperte corrispondenze con i soldati de' comuni vicini in particolare con quelli di Cusano. Il Sindaco P.Romagnoli".

La loro iniziativa divenne con l'apprestarsi dell'estate sempre più esplicita e tracotante, giungendo a minacciare direttamente i paesi di Capriati, Valle Agricola, Letino, Gallo e Prata. Analoghe pressioni intimidatorie si registrarono pure nella valle telesina, a Cerreto, a Pontelandolfo ed a Guardiaregia. In pratica all'avvento dell'estate 1'intero massiccio era avviluppato in una fitta trama di itinerari incursivi, percorsi assiduamente da numerose formazioni di briganti, che ne soffocavano qualsiasi residua legalità. Ma se ovunque nell'estate de1 1861, la situazione politico-militare fu gravissima, soltanto nel Cerretese e nell' Alto Sannio la reazione proruppe in insurrezione generale. Già dalla fine di giugno, era cominciata la fuga su Benevento dai paesi minacciati da parte dei possidenti e delle stesse autorità municipali e governative". Ai primi giorni di luglio la rivolta imperversava ovunque, facendo motivatamente temere le conseguenze destabilizzanti. Il 2 luglio il capitano Cremo del distaccamento militare di Venafro telegrafò al Governatore di Caserta: Letino occupato da briganti. Innalzata bandiera borbonica, altre nel Matese. Gallo sta per insorgere, autorità e famiglie fuggite. Castellone come Letino. Paesi limitrofi in allarme. Pronti provvedimenti chiedono ivi. Tre giorni dopo Val di Prata cadde nelle mani dei ribelli. Le condizioni abitative apparvero allora talmente compromesse da consigliare 1'insediamento del gen. Pinelli con un forte contingente di truppe a Piedimonte, a partire dal 6 luglio. Ed il giorno 7 si colse il primo riscontro della validità del provvedimento allorché i soldati inflissero pesanti perdite ai briganti presso Roccavecchia di Pratella, antico caposaldo sannita, trasformato in munitissimo covo. Il significativo successo tuttavia comportò uno spostamento operativo delle bande che ai primi di agosto assalirono Civitella Licinio (fraz. di Cusano Mutri), quindi s. Polo e Pietraroja, tanto per citare i principali bersagli. Nel frattempo il gen. Cialdini che aveva assunto la direzione del 6° G.C. dal 12 luglio, e lo mantenne fino al 31 ottobre, tentando una volta per tutte di soffocare le insorgenze legittimistiche che dilagavano a macchia d'olio, e di confinare, prima della definitiva estirpazione, il brigantaggio nelle sole aree montuose interne, quale appunto il Matese, accentuò la sua logica repressiva spietata. Istituì pertanto presidi fissi nei capoluoghi, dislocando inoltre reparti mobili con compiti di perlustrazione continua e con draconiane ordinanze di inappellabile giustizia sommaria appena se ne fosse presentata la minima opportunità plausibile. Le fucilazioni si susseguirono perciò ad un ritmo serrato tanto da far insorgere qualche perplessità nella dirigenza politico-militare, che impose una pur blanda moderazione, come narrò nelle sue memorie il gen. Marrozzo della Rocca, quaranta anni dopo gli eventi in esame: Feci fucilare alcuni capi e pubblicai che la medesima sorte sarebbe toccata a coloro che si fossero opposti, armi in pugno agli arresti. Erano tanti i ribelli, che numerose furono anche le fucilazioni, e da Torino mi scrissero di moderare queste esecuzioni, riducendole ai soli capi. Ma i miei Comandanti di Distaccamento, che avevano riconosciuto la necessità dei primi provvedimenti, in certe regioni dove non era possibile governare se non incutendo terrore, vedendosi arrivare l'ordine di fucilare soltanto i capi telegrafarono con questa formula: "Arrestati, armi in pugno, nel luogo tale, quattro, cinque capi di briganti". E io rispondevo: "Fucilate". Poco dopo il Fanti, a cui il numero dei capi parve straordinario, mi invitò a sospendere le fucilazioni e a tenere prigionieri tutti gli arrestati. Le prigioni e le caserme rigurgitarono; il numero dei carcerati crebbe a dismisura, e cosi pure crebbero i disordini, specie dopo la presa di Gaeta. I risultati nonostante la spietatezza tradirono completamente le aspettative e, se mai, non fu la riduzione delle fucilazioni ad incrementare il brigantaggio ma quasi certamente proprio il loro alto numero e l'assenza di qualsiasi soluzione alternativa. Infatti di lì a breve proporzioni ancora maggiori assunse la rivolta nel circondario di Cerreto Sannita, sottoposto alla pressione delle vicinissime grosse bande del Matese. Ne vi erano peraltro forze regolari in grado di opporvisi, insufficienti per organici, per armamento e non ultimo per coraggio. Meno che mai la sparuta e poco affidabile Guardia Nazionale. Il 6 agosto l'insurrezione aveva raggiunto Faicchio, Guardia Sanfromondi, Casalduni e Campolattaro e non accennava a scemare a Pontelandolfo i disordini subirono una nuova impennata, facendo addirittura ricostituire sotto la minaccia di sbandati, renitenti e briganti, ingrossati da una miriade di contadini, una caricatura di sovranità borbonica, con tanto di "Te Deum". Le autorità pubbliche, delegato di p .S. compreso, si erano eclissate alle prime avvisaglie. Gli immancabili saccheggi dei palazzi nobiliari abbandonati, gli altrettanto rituali incendi degli archivi comunali e della sede della Guardia Nazionale, aizzarono a dismisura le migliaia di esaltati, che dovettero effettivamente illudersi di una assoluta impunità. A Cerreto contemporaneamente per l'inadeguatezza della difesa militare si ebbe un vero e proprio accerchiamento con conseguente isolamento dell'intero abitato. Il precipitare della situazione indusse il governatore di Campobasso, Belli ad inviare da Sepino un piccolo contingente del 36° fanteria. Il suo comandante con una fatale imprudenza decise di por­tarsi verso Pontelandolfo, alla testa di 40 soldati e 4 carabinieri. Lo raggiunse l'11, penetrandovi senza incontrare alcuna significativa resistenza. Improvvisamente al suono delle campane, una massa sterminata si andò radunando, dirigendosi al paese: il tenente Bracci, a capo del reparto, intuendo il pericolo incombente si sarebbe portato, secondo alcuni, a ridosso della torre senza poterne prendere possesso; secondo altri invece per un nuovo tragico errore avrebbe abbandonato insieme ai suoi il riparo della torre per abbozzare una sortita verso S. Lupo. Di certo i soldati rifugiatisi nella torre furono facilmente raggiunti dopo lo sfondamento della porta, e forse alcuni di loro tentarono effettivamente la fuga, ma inutilmente. E fu la fine. Il massacro si consumò tra Pontelandolfo e Casalduni, dove probabilmente riusci­rono ad arrivare i fuggiaschi più veloci. Le vittime dell'atroce eccidio ammontarono a 37, alle quali però si devono assommare altre cinque di una precedente sommossa in zona. La notizia pervenne rapidamente al gen. Cialdini, a Benevento, che senza frapporre indugi, de­cretò una analoga feroce e sanguinosa rappresaglia. La sera del 13 agosto infatti partì dalla città, per l'ingrato compito una colonna di bersaglieri de118° battaglione, al comando del tenente colonnello Negri, che all'alba del giorno seguente era innanzi a Pontelandolfo. Ovviamente i briganti ed i caporioni dei facinorosi non si fecero trovare ad attenderli, ma perfettamente consapevoli dell'inevitabile vendetta che si stava per abbattere sul paese, avevano per tempo guadagnato la montagna, tranne una piccola frangia della banda Giordano. La resistenza di questi ultimi fu brevissima quanto insignificante ed i bersaglieri in breve restarono padroni incontrastati del luogo. Gli ordini di Cialdini trovarono da quel momento una pedissequa esecuzione; tutto, con l'eccezione di tre sole abitazioni, fu devastato, saccheggiato e dato alle fiamme, ne si fece grazia agli abitanti, compresi donne e bambini, trucidati o fucilati in massa. Contemporaneamente, quattro compagnie di bersaglieri al comando del maggiore Melegari attaccarono, devastarono e diedero alle fiamme Casalduni, che era stata però abbandonata a tempo da gran parte degli abitanti. Espletata la sua missione, il colonnello Negri poté, quindi, così telegrafare il 18 agosto al Cialdini: Ieri mattina all’alba, giustizia fu fatta contro Pontelandolfo e Casalduni. Essi bruciano ancora. L'alto Sannio tuttavia continuava ad essere incontrollabile, e soltanto intorno la fine di agosto il Cialdini poté destinarvi congrue forse per ristabilirvi l'ordine, che già un bando del governatore di Benevento aveva inutilmente richiesto.

REGNO D’ITALIA

IL GOVERNA TORE DELLA PROVINCIA DI BENEVENTO

Nello svolgersi dei dolorosi avvenimenti, dei quali questa Provincia fu il teatro in questi ultimi tempi, fu dato riconoscere:

Che le decantate orde dei briganti si compongono più di decine che di centinaia, le quali, per verità si reclutano ed ingrossano con elementi ragunaticci delle località che prendono di mira, ade­scandoli colla speranza del bottino e tosto disfacendoli, perpetrata l'aggressione;

Che nei Comuni, dove le persone che coprono uffici pubblici o meritano influenza, non hanno emigrato; ma invece hanno adempito il loro dovere di funzionari e di buoni cittadini, hnno sostenuto 10 spirito pubblico, si sono atteggiati alla resistenza; i briganti o non si sono presentati o, se 10 fecero, furono respinti;

Che in parecchi Comuni e là appunto, dove i capi avevano disertato, non la feccia soltanto, ma le popolazioni in massa, salvo qualche eccezione, si spinsero persino ad associarsi alle nefandità dei briganti palesemente e senza ritegno e finirono per dare in eccessi che furono sepolti sotto la colma misura della giustizia militare;

Che appena in qualche raro Comune e in modo assai imperfetto si pensò ad erigere barricate ed altre opere fortilizie momentanee, le quali con pochi animosi crescono immensamente il vantaggio della difesa, specialmente contro aggressori non esperti delle cose di guerra e che non sono salda­mente governati da buona disciplina militare;

Considerate che le stesse colpe, le stesse pusillanimità, le stesse impreveggenze possono far rivi­vere le stesse lacrimevoli calamità;

Determina

1. In tutti i Comuni percossi dal brigantaggio e attualmente smorbatine o per virilità dei citta­dini o per valore delle truppe italiane sarà cura dei Signori Regi del Mandamento fatta verificazione se i funzionari e i cittadini notabili soliti a tenervi stanza, vi siano restituiti.

I Signori Giudici faranno un rapporto quotidiano concernente almeno un Comune del rispettivo Mandamento per giorno, sicché al più tardi entro tanti giorni quanti sono i Comuni del rispettivo Mandamento, le informazioni giungano complete a questo Governo.

2. Gli elenchi degli assenti senza ragione saranno da questo Ufficio riassunti per Comune e fatti pubblicare nel Comune cui appartengono, in quello del rispettivo Mandamento e per quelli Capo­luogo di Mandamento nel Capoluogo di Circondario (sede d'Intendenza) e tutti indistintamente nel Capoluogo di Provincia.

3. A questa pubblicazione terrà dietro una intimazione di questo Governo Provinciale a tutti i riferiti nell'elenco perché in termine ragionevole rimpatrino con comminazione: ai funzionari della destituzione, senza che una spontanea dimissione possa sottrarli a quel rigore, poiché una dimissione non può essere accettata negli attuali frangenti; agli altri notabili del Comune, che avvenendo nuovi disastri, eglino saranno pur tenuti responsabili dei medesimi, saranno inusti di macchia ufficiale di pusillanimità, saranno esclusi da qualsiasi riguardo, che il governo possa disporsi ad usare di com­pensi, indennità esimili; e infine, che sopra tale loro contegno si radicherà il criterio della loro fede politica.

4. Spirato il termine per ciascun comune, entro il quale ogni funzionario dovrà essersi restituito al posto, il Sindaco o, in difetto chi gli tien dietro, riferirà a questo Governo Provinciale che ha assunto l'amministrazione, proporrà le misure credute più acconce per ottenere l'associazione dei patrioti alla difesa del comune, affine di neutralizzare gli sforzi dei nemici dell'ordine attuale delle di cose, per erigere opere di difesa transitorie come barricate e simili; insomma chiarirà il piano che ravviserà più accomodato a tutelare il comune contro le imprese dei facinorosi. Le armi specialmente dopo il vergognoso abbandono e la più turpe che stolida oblazione fattane al brigantaggio in differenti punti, officialmente difettano. Ma questa difficoltà non sarà tenuta a calcolo perché armi v'hanno dapertutto ed anche di troppo in questa provincia. I liberali le facciano uscire dai recessi dove stanno riposte e le diano a brandire alle destre non imbelli e pure dalla lebbra reazionaria. Se pur v'è un comune dove se ne lamenti la penuria, per pudore si veli cotanta infamia e dappertutto, se non si vuoI difender l'Italia, almeno si salvino le sostanze e le vite.

Benevento addì 20 Agosto 1861

Il 3 settembre 1861 una grossa colonna, agli ordini del Gallarini mosse da Benevento, procedendo ad una sanguinosa epurazione dell'alto Sannio, tanto che il fanatico furore repressivo dell'alto ufficiale fu criticato persino dal Cialdini, il che è tutto dire! Nel Cerretese fu inviato con analoghe finalità il maggiore Zettiri: in circa trenta giorni fra settembre ed ottobre vennero fucilati in quel comune ben 37 briganti. La repressione era ancora lontana dalla sua conclusione! Nel proclama del Gallarini è possibile cogliere due interessanti osservazioni in merito all'auspicata autodifesa dei comuni, palese ammissione peraltro di impotenza militare. La prima è quella relativa alla fortificazione, più o meno temporanea, dei centri abitati, riproposizione in chiave moderna di quanto già furono costretti ad attuare i romani intorno alle loro colonie circummatesine: è pertanto una conferma indiretta della nostra precedente supposizione. Vedremo tra breve un esempio di tale procedura. La seconda è invece concernente la disponibilità di armi, che ufficialmente avrebbero dovuto essere scarse e sotto controllo, mentre in realtà come affermava il governatore abbondavano nella stessa provincia, provenendo da una stolida oblazione . Infatti il 5 aprile 1861 erano stati distribuiti 61.168 fucili in tutte le provincie meridionali, di cui 15.131 nella sola Napoli, mentre altri 150.000, residuati dal disarmo dell'esercito garibaldino, giacevano ancora nei magazzini di Napoli e di Capua. In conclusione, il 1861 si chiuse registrando un parziale successo della repressione del Cialdini. Essa impedì infatti una sollevazione generale conservando il controllo sui centri abitati importanti, disperse tempe­stivamente i più grossi concentramenti briganteschi e ristabilì in buona parte le comunicazioni. Ma non fu certo in grado di contendere alle bande il dominio dei monti e dei boschi. Anzi a partire dal settembre 1861 la guerriglia delle bande, a seguito dei sanguinosi colpi della repressione che aveva terrorizzato le popolazioni mutò radicalmente tattica.

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