| Bibliografia | Documenti | Personaggi | Briganti | Storia | Brigantaggio Locale | Recensioni | Link | Libro degli Ospiti | Home |

Brigantaggio del Matese

da: " Dai Sanniti all'Esercito Italiano" - Stato Maggiore Esercito " di: Flavio Russo

Gli antefatti

Nei primi giorni del risorgimento novello d'Italia, l'unità pareva già raggiunta come per incanto, scriveva Giuseppe Manna ne11862; ma al contrario, le provincie meridionali, tenute da mille antiche e nuove ragioni separate e lontane dal resto d'Italia, dopo aver spento il primo ardore, sentirono la mano ferrea e fredda del passato che si appesantiva sopra di esse. Di questo ritorno del passato il dilagare del brigantaggio rappresentò, indubbiamente, uno dei segni più evidenti e critici. Non si era dovuto attendere, per scorgerlo, neppure che si spegnesse il primo ardore dell'unità. Prima ancora di combattere la battaglia del Volturno, Garibaldi si trovò di fronte ai primi episodi di quella vera e propria guerra contadina per bande, che il brigantaggio meridionale alimentò ininterrottamente per alcuni anni. E non c'è dubbio che una forte preoccupazione a questo riguardo fu tra le considerazioni complesse e realistiche, che spinsero Garibaldi a cedere il passo all'iniziativa regia e a favorire l'immediata annessione del Mezzogiorno al costituendo Regno d'Italia. Ma da quale parte o aspetto del passato tornava, più specificamente, a proiettare la sua ombra sul Mezzogiorno diventato parte del Regno d'Italia il brigantaggio post-unitario? Abbiamo già osservato nel capitolo riguardante le guerre sannitiche, che la conquista romana del Sannio, relativamente al Matese ed al Taburno, si limitò alle aree pianeggianti perimetriche, esulando dalla sua logica l'occupazione delle impervie quanto sterili zone di montagna. Del resto esulava pure dalla potenzialità del suo apparato militare il procedere in quelle contrade, spesso pressoché impenetrabili, a minuziosi rastrellamenti tesi a disinfestarle da ex guerriglieri e partigiani scaduti in volgari briganti, per giunta continuamente incrementati numerica mente dall'afflusso della delinquenza comune latitante. L'altopiano del Matese, non diversamente in ciò dalle altre formazioni montuose di vasta superficie, assurse così al rango di inviolabile santuario, garantendo prima agli irriducibili sanniti, poi ad ogni sorta di perseguitato, fuorilegge o bandito, una miserabile esistenza ed una assoluta impunità. Nel corso dei secoli ovviamente tale connotazione subì fasi di recrudescenza e di obsolescenza, senza però annullarsi mai irreversibilmente. Ne fa fede la costante presenza di elementi briganteschi sotto tutti i governi avvicendatisi alla guida delle Due Sicilie in ogni contesto geomorfologicamente equivalente al nostro: per esso addirittura si giunse, in forza della accennata radicazione, a costruire nel territorio di alcuni centri più arroccati, come ad esempio quello di Cusano Mutri, chiesette rurali: "per commodo de Genti fuggitive, et inquisite (ubicate) sopra montagna.. .(dove) nel tempo d'està. ..(si recava un sacerdote) per farli sentir la Messa, ed esortarli alla strada della salute, ed insinovarli il S. timor di Dio". Raffaele Ciasca ne rilevava, riferendosi specificatamente al brigantaggio cause varie sociali e politiche . Notava, così, che quando e dove, ad esempio l'autorità statale è debole e manca un'organizzazione militare regolare, le milizie mercenarie facilmente si mutano in bande brigantesche. Vi sono poi epoche di dissolvimento di una determinata classe sociale, durante le quali è facile che in essa si verifichino manifestazioni di brigantaggio può trarre alimento dai bassi strati della popolazione. E allora, specialmente nei secoli XVI-XVIII, ecco gruppi di contadini, oppressi dal fisco abbandonano il loro villaggio; si buttano alla macchia, depredano quanto possono, forti delle non celate simpatie delle classi umili . Questa forma di banditismo con caratterizzazioni sociali, tuttavia, non differiva quanto a modalità estrinsecative dalle altre di generico movente: fu perciò perseguito indiscriminatamente e con violenza ogni qual volta fosse possibile, ritenendolo un pericoloso focolaio di improvvise esplosioni rivoluzionarie. In ciò la diffidenza degli spagnoli si distinse nettamente, ed in ottemperanza alla loro consueta burocraticità emisero in materia una serie infinita di prammatiche repressive, di tenore roboante e minaccioso ma sterili di concreti risultati. Esemplifica per tutte quella del 22 luglio del 1583, ricordando per inciso che l'ultima del genere fu promulgata nel 1707 anno conclusivo del viceregno spagnolo. "Essendo pervenuto a nostra notizia, uqualmente il numero de' fuoriusciti e delinquenti è talmente aumentato in tutte le Provincie del presente Regno, e tuttavia si aumenta da dì in dì, e continuatamente essendo esposte querele e lamentazioni da molte Università del Regno, e da altre particolari persone, degli eccessi, delitti, rubamenti, omicidi, ed altre insolenze che si commettono per detti fuoriusciti, e malfattori, i quali senza timor di Dio, in dispregio della Giustizia, e con tanto poco rispetto di S.M. tengono audacia in procedere ad ammazzare le persone levando le donne per forza dalle loro case, ricattando gli uomini, e non contenti di questo il più delle volte gli ammazzano, e rubano nelle vie. Rompendo le strade a' Procacci, rubando. i poveri viandanti. proibendo il libero commercio a' mercanti. E per relazioni che teniamo da' Governatori di dette Provincie, Capitani, ed altri Officiali non si possono tali enormissimi eccessi, e delitti rimediare per le provvisioni ordinarie, che sono state date e prammatiche del presente Regno. Noi, mossi dal predetto, volendo sopra di ciò provvedere. abbiamo pensato, e deliberato. rigorose provvisioni. Per questo si ordina e comanda per tenore del presente Bando, che tutti, e quali si vogliono contumaci e fuoriusciti, e quei delinquenti, che debbano fra il termine di giorni dieci presentarsi avanti il Tribunale e non comparendo, e lasso il termine saranno tenuti e trattati (come) ribelli, contumaci, banditi. E riputati che saranno fuorgiudicati nel modo predetto, diamo licenza, e facoltà ad ogni persona, di qualunque stato, grado e condizione si sia, di potergli ammazzare impune, e senza timore d'incorrere in pena alcuna. che etiam godano, e conseguano le grazie, e i premi infradichiarati ne' casi, e con le condizioni e limitazioni seguenti, videlicet". Affinché poi nessun ulteriore dubbio restasse circa le connotazioni ed i comportamenti tipici che facevano identificare un comune delinquente come brigante, con la solita pedante minuziosità così le prammatiche recitavano: "Perché molti senza che abbiano fatto delitto alcuno, e perciò praticando per tutto liberamente, alle volte poi si uniscono di comitiva con detti Banditi, facendo delitti, di poi quando loro piace ritornando nelle loro terre, confidanti, che non si sappia essere andati in Comitiva con detti Banditi, e da questo ne sono nate le grosse squadre di essi. E convenendo rimediare ordiniamo, e comandiamo, che ogniqualvolta, che costerà leggittimamente che alcuna persona sia stata veduta armata con armi di fuoco in Comitiva di banditi, e delinquenti. ..al numero di quattro (particolare importante questo numero limite), incorra ipso facto alla pena di morte naturale. ..e si possa uccidere impune, ancorché non fosse stato dichiarato fuorgiudicato per sentenza". Con tali espedienti, lungi dallo stroncare il brigantaggio, si riuscì se mai a renderlo più diffuso ed efferato, al punto che la dinastia borbonica, come peraltro già molti feudatari del Regno in ogni epoca, vi vide, oltre ad un potenziale elemento insurrezionale, temibile e perciò da blandire, un'altrettanto potenziale ma vantaggiosa forza reazionaria, specie dopo la tacita tolleranza, con la quale metteva conto intessere relazioni più o meno segrete. La preistoria di questa fase è nelle vicende del 1799. Essa annuncia chiaramente la strumentalizzazione legittima sta che la dinastia effettua di un fenomeno, a cui la sua azione di governo non aveva mai dato risposte politicamente e socialmente valide. In merito il Cuoco ricorda un episodio della fuga del re da Napoli nel 1799 anch'esso emblematico di una prassi che si andava istituzionalizzando:si disse che la regina, partendo, avesse lasciato istruzioni segrete di sollevare il popolo, di consegnarli le armi, di produrre l'anarchia, di far incendiare Napoli, di non farvi rimanere anima vivente da notaro in sopra. La connivenza con le frange illegali del potere sovrano, proseguì e si intensificò per molti versi durante il decennio dell'occupazione napoleonica, assumendo caratteristiche di guerriglia partigiana, fra il 1806 ed il 1815, manifestando sin dall'inizio la sua temi bile ferocia e la sua collaudata rispondenza operativa.Scriveva ad esempio il generale comandante le truppe dislocate in Campania, al suo Quartier Generale di Napoli, in data 7 marzo 1807: Monseigneur, ai l'honneur de rendre compte à Votre Excelence que le Courrier de France des 17 et 18 feuvier a ete arrète lundi dernier 3 du courant, entre Terracine et Portella, par des brigands qui lui ont enleve toutes les depèches dont il etait charge. Il parait que la negligence de ce courrier qui n'avait point pris d'escorte à Terracine, à ete cause de cet accident facheux S.A.I. à fait prendre les mesures necessaires. Personaggio di spicco, ed al contempo caposcuola di questo brigantaggio realista fu un certo Michele Pezza, meglio noto come Frà Diavolo. Nato ad Itri nel 1771, a seguito dell'uccisione del padre per mano dei francesi, si dedicò dopo aver organizzato una numerosa banda alla loro spietata persecuzione. Si battè quindi in maniera guerrigliera sotto la bandiera borbonica, infliggendo agli occupanti notevoli perdite. Il Re grato, lo elevò al rango di "colonnello", primo esempio di riconoscimento ufficiale di capomassa. Catturato casualmente nel 1806, finì impiccato a Piazza Mercato a Napoli. Al di là del valore militare della sua resistenza, resta il fatto che fornì il prototipo di guerrigliero realista-legittimista dotato di discreto fascino e credito, al quale si confecero in seguito molti briganti, creando così un legame diretto e viscerale tra massa diseredata e potere regio assoluto, altrimenti inspiegabile. La strumentalizzazione borbonica di una simile massa di manovra riuscì a molti dei giacobini incomprensibile. La lettura del Monitore Napoletano dice da sola il contraccolpo, che allora fu accusato da un 'intera classe politica, proprio nel momento in cui si trovò a dover riscontrare sul campo la validità dei suoi postulati ideologici. Era infatti per lo meno singolare che le classi più umili ed infime del popolo, quelle più sfruttate che avrebbero dovuto essere le principali destinatarie e fruitrici delle riforme e delle libertà democratiche, ne fossero in pratica le più tenaci oppositrici, capeggiate per giunta da banditi e briganti notori: gli stessi individui peraltro che prima del 1799 e dopo i11815, agivano in tutt'altra direzione ma con identica metodica delinquenziale. Il significato inoppugnabile non sfuggì a molti intellettuali coevi, che ebbero modo di sperimentare sulla loro pelle la totale refrattarietà delle masse agli ideali rivoluzionari, plagiate da tale risma di personaggi, ma ne intravidero però anche la possibilità di indottrinarle sommariamente e di dirigerle verso progetti unitari e libertari. Scriveva acutamente Carlo Pisacane nel 1850: Guai allorché le masse giungono a credere all'inviolabilità ed all'infallibilità di un uomo. Guai allorché le masse si avvezzano alla fede e non alla religione: è questo il segreto sul quale sino ad ora si è basata la tirannide, che ha trovato facile strada al conseguimento dei suoi disegni; dopodiché il pensare è fatica dalla quale rifuggono le moltitudini, corrive sempre al credere. Ma pochi anni dopo, nel 1856, la sua posizione diviene più spregiudicata e contempla giustificandola per fini superiori la necessità di strumentalizzazione ideologica delle masse, o meglio delle minoranze attive e facinorose delle stesse, che ne avrebbero provocato l'insurrezione. La plebe non è dotata di quelle eroiche qualità che alcuni gli attribuiscono; la plebe sovente traviata da pregiudizi ed angustiata la mente dall'ignoranza, ondeggia fra la temerarietà e l'abiettezza. Stimolata dai materiali bisogni, la sua mente non può elevarsi a pensieri sublimi. Ma se tra la moltitudine uno giunge ad appuntare l'intelletto sulle questioni politiche che agitano il paese, quasi per istinto ragiona con maggiore esattezza che il migliore fra gli scrittorio. Tutti gli sforzi per sospingere il popolo al risorgimento debbono consistere nello svolgere e rendere popolari le idee, adattandole alla loro intelligenza e traendone quelle conseguenze che debbono condurre ad un utile materiale immediato, onde siano sempre fomite maggiore alle passioni. La concezione nella sua dinamica era indubbiamente giusta e forse anche il momento storico: non così il luogo scelto per lo sbarco che non lasciava invece alcuna probabilità di successo al tentativo di sollevazione popolare, proprio per le notorie e radicate convinzioni legittimiste locali. Sotto quest'angolo Garibaldi tre anni dopo non ripete l'errore, potendo con la Sicilia contare già inizialmente su di una più pronta adesione antiborbonica ed indipendentista, connaturale quasi ai suoi abitanti di qualsiasi ceto sociale. Non tenteremo a questo punto di tracciare, neanche per vasta sintesi una storia del brigantaggio post-unitario, del quale abbiamo voluto evidenziare la matrice endemica, poiché l'argomento oltreché esulante dai nostri fini, è di una tale vastità e complessità da inibire. Questa difficoltà trova la sua ragione in varie cause, ma principalmente nell'esistenza di un materiale documentario che per quanto abbondante è assai frammentario. E quand'anche una parziale e laboriosissima indagine venisse fatta per riunire, la narrazione degli avvenimenti avrebbe pur sempre un carattere ufficiale ed uniforme perché priva di quegli elementi psicologici e di quei particolari aneddoti ci che sono invece essenza delle fonti private, dei libri di appunti, delle note personali, cioè di elementi in gran parte scomparsi. È invece nostra intenzione riproporre il Matese come area di estrinsecazione guerrigliera, in una sorta di riedizione tattica di un remoto passato, conferma esplicita di una ripetitività storica non imputabile semplicisticamente alla morfologia dei luoghi, quanto piuttosto alla dinamica conflittuale globale che in essi si ridusse. Ne emergerà anche in questo secondo caso un ridotto montano di estrema resistenza, propriamente detta terminale, atroce, efferata, spietata, disperata ed in definitiva inutile perché di esito scontato. Il parallelo con gli ultimi periodi sanniti potrebbe poi scendere persino nei dettagli operativi, nelle conduzioni dei rastrellamenti, nella semplificazione degli equipaggiamenti e delle uniformi, ecco, ove al posto delle legioni romane si sostituisca l’Esercito Italiano. La sottolineata episodicità del brigantaggio, conseguenza non trascurabile di una iniziale guerra partigiana, che presupponendo una perfetta conoscenza dei siti finisce con il frazionare le forze territorializzandole, consente questa procedura. Infatti l'ottimizzazione tattica derivante da quanto affermato è alla base della segmentazione di fatto degli avvenimenti, confinando la vicenda complessiva in un arcipelago di microstorie a se stanti. Pertanto la nostra indagine non esulerà dal perimetro del massiccio non ravvisandone la necessità, divampando peraltro in esso un 'aliquota consistente del devastante e destabilizzante fenomeno delinquenziale. Tenteremo inoltre di evidenziare l'impatto delle disposizioni governative sulla fluida aggregazione delle bande, rimarcandone le metodiche tipiche di guerriglia in stretta correlazione con il particolare ambiente morfologico, nonché la logica informatrice della repressione militare, anteponendo sistematicamente alla cronaca locale il documento ufficiale, esente da acritiche apologie. Abitualmente si è soliti individuare nell'evoluzione decennale del brigantaggio due fasi preminenti. Ci sembra però più coerente ricondurle a tre, esistendone una iniziale esplicata contestualmente alla estrema difesa militare organizzata del Regno. In essa si colgono chiaramente le premesse del successivo dilagare insurrezionale, pur attuandosi ancora l'azione primaria dell'esercito napoletano, che ne moderava per quanto possibile gli eccessi, antiliberali piuttosto che filo-borbonici, canalizzandone le imprese e in un certo senso nobilitandone gli intendimenti. Quindi:

1. Una prima fase, copre gli ultimi mesi del 1860 e gli iniziali del 1861, e si caratterizza con l'emergere di una diffusa insorgenza, ancora però non coordinata, e si protrae fino alla dissoluzione dell'esercito meridionale. Sotto il profilo ideologico si assiste al coincidere degli intenti leggittimisti con quelli anarchici rivoluzionari.

2. Una seconda fase, sempre per grossa schematizzazione, si avvia con l'esilio di Francesco II, e con il riflusso dei suoi ex soldati entro i confini della neonata nazione. Si registra a questo punto una singolare fusione fra gli sbandati militari e gli ormai attivi gruppi partigiani, che tali ancora possono chiamarsi, dalle nefaste conseguenze. Infatti ne scaturì un rilevante numero di cospicue formazioni paramilitari, a volte eccedenti persino le 1000 unità, armate ed equipaggiate con i materiali superstiti del disciolto esercito. Questi raggruppamenti operarono con modalità e suddivisioni gerarchiche, di compiti e tattiche eminentemente militaril3, motivati da una possibile quanto prossima restaurazione legittimistica, specie fra gli anni '62-'64.

Tuttavia le crescenti difficoltà imposte dalla repressione dell'Esercito Italiano, la progressiva inevitabile perdita di certezza, l'alienazione inarrestabile dell'appoggio popolare, tanto per citare le principali frustrazioni, determinarono il frazionarsi delle formazioni ed il loro scadere in miriadi di piccole bande autonome, per lo più a cavallo. La loro tattica divenne allora quella propria della conflittualità brigantesca, mobilissima, sanguinaria e territorialmente ristretta nelle contrade più impervie ed irraggiungibili, con nessuna parvenza ormai di movenza politica.

3. Una terza fase, infine si instaurò a partire dal '65 allorché risultando lampante anche per i più fanatici fautori della lotta brigantesca, 1 'inutilità della stessa ed il travisamento d'intenti non ulteriormente giustificabile, cessò drasticamente ogni appoggio esplicito ed implicito. Venne pertanto chiusa in maniera concreta la frontiera pontificia, premessa indispensabile per la liquidazione del fenomeno, che appunto da quel momento data.

I tempi di realizzazione della disinfestazione risentirono logicamente dell'asprezza dei luoghi, protraendosi per quelli più impervi, come il massiccio del Matese, il gruppo montuoso del Taburno e le verdi valli circostanti, ben oltre la media meridionale.

HOME PRINCIPALE

INDIETRO