PERSONAGGI E VICENDE

DEL SANNIO CONTEMPORANEO

di: G. SPADA

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CAP. IX

PACELLI UNGARO E IACOBELLI NELLE VICENDE DELLA CIRCOSCRIZIONE TERRITORIALE

 Come già premesso, l'animatore di tutta la battaglia di opposizione alla istituenda circoscrizione territoriale di Benevento, proposta secondo il progetto di Carlo Torre, fu Salvatore Pacelli, gentiluomo di grande statura morale e fermezza d'animo e appartenente ad illustre famiglia patrizia di S. Salvatore Telesino. Pacelli era noto nel circondano anche per la sua fervida fede patriottica ed i suoi sentimenti liberali che mantenne inalterati nonostante le delusioni e le amarezze, fino alla morte. Il 10 ottobre 1860 con Decreto firmato da Garibaldi fu nominato Capitano delle Guardie Nazionali (54). La sua vita politica fu caratterizzata da un impegno totale e costante contro ogni forma di corruzione e di prepotenza. Eletto Consigliere Provinciale nel 1863 fu sempre rieletto fino a quando non decise di abbandonare la vita politica. Nella storia della lotta per la moralizzazione della vita amministrativa e pubblica, Pacelli fu un magnifico ed esaltante protagonista. Infatti, fu veramente clamorosa la sua denuncia, in sede di Consiglio Provinciale, contro la camorra beneventana che si nascondeva dietro la congregazione di "S. Gaetano", e non meno clamorosa, la denuncia contro forme nascoste di corruzione, intrighi e favoritismi indirettamente appoggiati dall'On.le Polvere, amico e sostenitore di Michele Ungaro che, come metteremo in evidenza, fu fieramente lottato dal Pacelli anche se la vittoria si fece attendere a lungo. A causa della denuncia contro Polvere, l'uomo politico di S. Salvatore fu sfidato a duello, con lettera trasmessagli dai padrini dell'On.le Polvere il 9 ottobre 1881 (55). Il duello non fu tenuto per l'intervento di comuni amici, fra cui l'Avv. Cirelli e il barone Francesco Farina. Ma il 4 dicembre dello stesso anno il Pacelli pubblicava una lettera aperta all'On.le Polvere, sul n. 12 del giornale "La Voce del Sannio" per informare la pubblica opinione di quanto era accaduto nel Parlamentino di Rocca dei Rettori. Nella pubblicazione, senza mezzi termini si denunciava la complicità dei consiglieri Polvere e Cini, i quali, a proposito di una richiesta di riduzione del canone per le acque di Telese, da parte del concessionario Minieri, avevano al Pacelli stesso confidato che il Minieri, per assicurarsi tale riduzione, aveva dovuto sborsare L.40.000. La complicità dei due consiglieri, secondo il Pacelli, consisteva nel fatto che, avendo, egli stesso, denunciato ogni cosa al Consiglio, essi si erano rifiutati di confermare quanto gli avevano personalmente confidato. La ricostruzione dell'episodio si ricava dagli atti del Parlamento Italiano. Negli atti si legge che, il 12 aprile 1882, il Ministro di Grazia e Giustizia, Zanardelli, trasmetteva al Presidente della Camera l'istanza di autorizzazione a procedere, inoltrata dal Procuratore del Re al Tribunale Civile e correzionale di Napoli, contro l'On.le S. Pacelli, imputato di libello in danno dell'On.le deputato comm. Nicola Polvere. Nella comunicazione si precisava che nella pubblicazione del Pacelli erano contenute "frasi allusive ad una vertenza seguita nel Consiglio Provinciale di Benevento, in cui discutendosi una proposta di un tal Minieri, concessionario di questa Provincia delle acque solfuree di Telese, per riduzione del canone sull'uso di tale acqua, il Consigliere Prov.le Salvatore Pacelli, nel combattere la proposta Minieri, accennò ad una voce corsa fra alcuni membri della Deputazione Prov.le, che, cioè il Minieri avesse sborsato L. 40.000 per ottenere la riduzione del canone. E poichè il Pacelli assumeva di aver appreso il fatto delle 40.000 lire dai deputati Polvere e Cini pubblicò nel giornale La voce del Sannio, la lettera surriferita e per la quale il deputato Polvere ha fatto istanza di punizione". La domanda venne accolta e con la seduta del 26 aprile dello stesso anno fu data comunicazione all'assemblea dal Segretario Relatore Luigi Ferrari (56). Ebbene, per questa sua probità, per questa sua limpida moralità, Pacelli era stimato, oltre ogni limite dallo stesso Monsignor Luigi Sodo, Vescovo di Cerreto. E fu, infatti, Monsignor Sodo, come andremo a documentare con ricchezza di particolari, ad indicare al Prefetto Cordera, dopo la visita del Ministro Giovanni Nicotera a Cerreto (21-8-1876) Salvatore Pacelli, quale candidato del Collegio di Caiazzo al Parlamento Italiano. Il sostegno di Monsignor Sodo al Pacelli, così apertamente, stava a significare non solo la coerenza morale del degnissimo prelato ma l'avvio ad una decisiva battaglia di moralizzazione nella vita della circoscrizione. Pacelli fu, infatti, eletto deputato in quell'anno e la sua elezione segnò definitivamente il tramonto di Michele Ungaro. Per un breve accenno alla biografia dell'Ungaro, ci serviamo, tra i tanti, di un prezioso documento, pubblicato proprio durante le elezioni dell'876 nel collegio di Caiazzo, anche a firma apocrifa di Giobbe Cellomet (57). Ungaro nacque a Cerreto e fu educato in quel seminario. Nel 1848 si atteggiò a liberale, tenendo rapporti con i più ferventi liberali di Cerreto da Domenico Capuano a Vincenzo Vittorio Barbieri e al giovanissimo ed estroso studente Giuseppe Biondi (58). Ma da questi, Ungaro, si ebbe, subito dopo le vicende dell'848, il più irriducibile disprezzo, perchè dopo il fallimento dei tentativi insurrezionali del '48, Ungaro offrì i suoi servigi alla causa borbonica, con scrupolo eccezionale. Il suo voltafaccia gli fruttò la nomina dal Governo Borbonico a regio giudice, nel mandamento di Sala-Sora e Casoria dove si rivelò il più fiero persecutore dei compromessi politici e il più zelante difensore dell'ordine borbonico. Il suo capolavoro di inquisitore fu l'istruzione del processo contro i patrioti di Sapri, guadagnandosi così il trasferimento, sempre come giudice, nell'importante quartiere di San Ferdinando a Napoli. In compenso dei servizi prestati al Governo Borbonico ebbe onorificenze e privilegi particolari. Nel 1860 l'Ungaro era ancora regio giudice dal quale incarico, aggiunge il biografo, scomparve nel 1861; nè si sa per dimissioni o per obbligo. Fu così che si portò a Benevento, sua nuova provincia, per tentare la carriera politica dopo infruttuosi tentativi altrove, dove troppo noto era il suo passato. E nella nuova provincia ebbe inizio, infatti, la fortuna politica dell'Ungaro, che si concluse nel 1876, dopo la elezione a deputato di Salvatore Pacelli. Il biografo non risparmia epiteti oltraggiosi nei confronti della figura morale dell'Ungaro, ma per il corretto svolgimento del nostro studio, interessa solo sottolineare il carattere spregiudicato oltre ogni limite dell'Ungaro, il suo coraggio a volte sfrontato, il suo egocentrismo. Furono queste qualità a portare Michele Ungaro al successo, immediatamente dopo l'Unità d'Italia, nonostante i suoi trascorsi borbonici ed il suo sconcertante trasformismo. Egli fu senz'altro una figura tipica del tempo; intelligente e scaltro, elaborò il suo piano, mettendolo in atto minuziosamente e con ferma decisione. Pertanto, riuscì subito ad assicurarsi il sostegno del Cav. Achille lacobelli (potere economico) ricchissimo proprietario della zona (S. Lupo), anch'egli ex borbonico, largamente favorito dal vecchio governo e già accreditato presso il nuovo (era stato nominato Tenente Colonnello Onorario della Guardia Nazionale). Ungaro e lacobelli costituirono, così, un'alleanza sicura e solidissima per il conseguimento di qualsiasi successo. D'altra parte, in un periodo di confusione e smarrimento, come si caratterizzò nel Mezzogiorno d'Italia il momento dell'unificazione, gli obbiettivi più seducenti ed ambiziosi si presentavano facilmente conseguibili a chiunque avesse potuto disporre di denaro, credito politico, spregiudicatezza ed audacia. E di tanto disponeva senz'altro all'epoca, Michele Ungaro. Il secolo di Milano nel 1872 scrisse di Ungaro: "ma ciò che non è facile lo scoprire, si è il segreto della sua elezione a rappresentante del Paese, mistero profondo e indecifrabile". La perplessità per noi risulta piuttosto ingenua, ma se si considera che veniva manifestata da un giornale del Nord - Italia si comprende chiaramente che non vi era poi tanta ingenuità. Ebbene, nel 1862 dopo un solo anno di attività forense a Benevento, abbandonò la professione e sempre secondo il citato biografo, fu uno dei consiglieri fraudolenti di lacobelli, che si rese responsabile di sottrazione di denaro dalla cassa Provinciale. Infatti, durante il processo Iacobelli, imputato di sottrazione di pubblico denaro, il difensore, scrisse nella memoria a stampa presentata alla Corte, sezione d'Accusa che "Iacobelli, illuso da uno o più vampiri, i quali carpendogli danaro, e promettendogli in quella vece concessioni di ferrovie, concessioni di canali, vendite, affitti, appalti e, quindi, vistosi guadagni, lo misero nella persuasione, in buona fede, di poter togliere dalla cassa, per rimettercelo, poi, quel denaro". Ci sembra opportuno riferire, a questo punto, che risulta presentata proprio dallo Iacobelli domanda di concessione ferroviaria. Ora, per un quadro più completo del personaggio Iacobelli, si tratta solo di aggiungere che la sua considerevole proprietà terriera fu sottratta al demanio del Comune di S. Salvatore Telesino. Nella memoria del Sindaco di S. Salvatore, presentata all'Intendenza di Piedimonte il 2-7-861, si apprende la provenienza della proprietà Iacobelli. Il Sindaco, infatti, esorta l'Intendente, a definire "una volta per sempre la causa di appropriazione" da parte di Gregorio Iacobelli, padre del Cavaliere Achille, di duecento moggia di terreno demaniale in danno del Comune di S. Salvatore (*). (Si consideri che, all'epoca, 200 moggia di terreno costituivano un vero e proprio feudo nell'economia della proprietà contadina). La causa aveva avuto inizio nel 1837 ed al tempo del Cav. Achille (1861) non ancora si era conclusa. D'altra parte come si poteva sperare in una giusta definizione della vertenza se D. Achille, l'uomo più ricco del circondano, godeva perfino della stima dello stesso Re Ferdinando Il? Infatti, ricorda il Mellusi che durante la visita di Ferdinando Il a Cerreto, quando fu proposta al Re la costruzione del "Ponte Torello" il Borbone, rivolto ad Achille lacobelli disse: "Achì fallo tu che tieni soldi assaie" (59). Sicchè, Ungaro aveva bisogno dell'appoggio del potere economico e di una nuova circoscrizione territoriale per assicurarsi il successo politico; lacobelli aveva bisogno della protezione politica per continuare i facili guadagni, a cui era abituato per tradizione di famiglia. Da qui la ostinata battaglia dei due alleati, i cui interessi erano coincidenti, per la esecuzione in concreto del decreto del 17-2-1861 della Luogotenenza di Napoli con cui si fissava la nuova circoscrizione territoriale di Benevento, comprendente numerosi ed importanti comuni della Provincia di Terra di Lavoro. Contro il disegno di Ungaro e lacobelli i cittadini del circondario si strinsero intorno a Salvatore Pacelli e sostennero con lui una lotta tenace e nobilissima. Ma l'Ungaro, superando con ogni mezzo le opposizioni, riuscì a neutralizzare ogni azione che avesse potuto intralciare la realizzazione del suo progetto. L'Ungaro, infatti, non può sottrarsi al sospetto che, in detta circostanza "l'annessione dei comuni di Terra di Lavoro alla nuova Provincia di Benevento" abbia ottenuto anche la protezione dello stesso Capo brigante Cosimo Giordano per neutralizzare l'azione vigorosa del Pacelli, suo irriducibile avversario. Dopo queste necessarie premesse esaminiamo, ora, lo svolgimento della vicenda. Pacelli aveva compreso che senza il sostegno popolare sarebbe stato vano ogni tentativo di opposizione al Decreto. Pertanto, mobilitò subito, intorno al problema, l'opinione pubblica dei Comuni interessati (distretto di Piedimonte d'Alife, Cerreto, San Salvatore, Solopaca, Guardia, San Lorenzello, Limatola, Amorosi, Frasso, Melizzano, Faicchio, S. Agata dei Goti). La mobilitazione dei cittadini tendeva ad ottenere una consulta popolare. Il tentativo però, falli con la motivazione da parte del potere centrale delle difficoltà procedurali. Ma non è tutto, perchè la richiesta non solo non trovò accoglimento presso l'esecutivo, ma addirittura furono destinati, da parte del Governo, proprio Michele Ungaro e il Sig. Antonio Ciccone a riferire agli organi di governo sulla determinazione della novella provincia. Ovviamente, l'inconcepibile provvedimento provocò la generale indignazione in tutto il circondano interessato. Immediatamente il Sacerdote Nicola Pietro Simone, il 28 febbraio 1861 faceva pervenire una petizione al Parlamento con la quale si chiedeva una soluzione diversa del problema. La petizione venne riportata da un giornale politico della sera "Il Parlamento" datato 4-3-I 861 (60). Intorno alla petizione di D. Simone furono chiamati a raccolta ben 62 mila cittadini del distretto. Infatti seguirono immediatamente in data 16 marzo le petizioni dei comuni di S. Agata dei Goti, Solopaca, Guardia, Amorosi, Puglianello, Frasso, Melizzano, Faicchio, Limatola, ed altri. Purtroppo, nonostante la palese e ferma ostilità dei Comuni interessati, il Governo centrale non tenne in alcuna considerazione le petizioni e le deliberazioni dei Consigli Comunali ed il 17-3-1861 invitava telegraficamente il Vice intendente del Distretto di Cerreto per l'insediamento. L'urgenza del provvedimento tendeva a neutralizzare l'efficacia dell'azione popolare. Il Tenente Colonnello Onorario della Guardia Nazionale Achille lacobelli informava, infatti, dell'avvenimento Salvatore Pacelli e i Sindaci dei comuni di Terra di Lavoro per incarico del Giudice, con la missiva che qui riportiamo:

"Il Tenente Colonnello Onorario lacobelli previene il Sindaco e Comandante della Guardia Nazionale che domani arriva in Telese il Vice Intendente del Distretto di Cerreto, alle ore 12, e verso le tre partirà per San Salvatore. Egli va a prendere possesso per Cerreto e spetta a tutta questa civilissima popolazione mostrare del come sono soddisfatti del lieto avvenimento che ora si inaugura.

Prega il Sig. Sindaco di un rigo di riscontro.

Telese 16 marzo 1861 - Sabato

Al Signor Sindaco di San Salvatore e Comuni di Terra di Lavoro (61).

Ed ecco la ferma e dignitosa risposta del Pacelli nella stessa data.

"Il Signor Sindaco ed il Comandante della Guardia Nazionale di S. Salvatore dolentissimi di vedere ostacolato il comune desiderio di questa popolazione e delle altre circonvicine per la ripartizione anomala della nuova provincia di Benevento fanno sapere al Signor Tenente Colonnello Onorario Cav. di Francesco 1° D. Achille Iacobelli, ed al Signor Cav. del S. Sepolcro D. Michele Ungaro che non solo si sono apparecchiate analoghe petizioni al parlamento Nazionale per la rettifica della circoscrizione territoriale di Benevento, ma ancora che i cittadini tutti di S. Salvatore non festeggeranno mai un avvenimento essenzialmente contrario alla libera manifestazione popolare e che favorirebbe solamente la condizione economica di pochissimi Cerretani e degli intriganti del vecchio governo. Cosa deplorabile assai se ci mancasse la speranza della verità. Non pertanto si augurano il Sindaco, ed il Comandante della Guardia Nazionale di S. Salvatore essere prossimo il tempo, in cui il disinganno si faccia universale, l'audacia del privato interesse non possa anteporsi al bene comune, e gli esponenti di tutti i partiti finiscano una buona volta d'insultare alla libertà dei popoli.

San Salvatore 16 marzo 1861 - Sabato.

Di riscontro al foglio d'invito di Iacobelli ed Ungaro.

Dai Municipi di S. Agata de' Goti, Solopaca, Guardia Amorosi, San Salvatore, Puglianello, Frasso, Melizzano, Faicchio, Limatola ed altri.

Come si vede l'adesione all'opposizione del Pacelli fu totale e, perciò, non ritenne l'uomo politico di S. Salvatore di abbandonare la lotta. Intanto manteneva costante l'impegno dei cittadini a difendere quello che era stato ritenuto un sacro ed incontestabile diritto. Dopo questa ferma presa di posizione ecco come si regolarono i comuni interessati. Da Guardia Sanframondi e da ogni Comune furono inoltrate deliberazioni e petizioni al Parlamento Nazionale. Infatti in data 24 marzo Salvatore Pacelli inoltrò la seguente lettera a Domenico Piccirilli di Guardia:

Pregiatissimo Signor D. Domenico

Don Giovanni Pingue mi ha fatto leggere la Vostra petizione al Parlamento per la ricostruzione della Provincia di Benevento. Parlandovi la verità a me pare che nella prima parte il ragionamento non poteva essere più logico e conciso giacchè ha dimostrato con dati statistici ed irrecusabili l'immensa diversità topografica commerciale e morale fra Benevento ed il nostro attuale distretto. Nella seconda parte mi pare che vi siete mostrato propenso ad una transazione a noi nociva, poichè preferendo il bene del solo Vs. Paese, come i Cerretani, avete abbandonato interamente la prima ragione a discapito sempre degli altri quarantamila abitariti dei comuni di terre del nostro (Distretto). Mi permetto dirvi che per ben riuscire nella impresa fa d'uopo considerare che non tanto bisogna combattere l'intrigo ordito già dai Municipalisti di Cerreto, quanto resistere alla esigenza dei beneventani i quali vogliono valorizzare il loro territorio assolutamente e per qualunque modo anche se importuno a molti altri paesi. Se dunque per lo scopo nostro il difficile sta nel restare aggregati, non bisogna proporre un mezzo termine per dare causa agli oppositori di far declinare una recisa condanna, e far nascere una ripartizione mostruosa benchè meno della prima. Convengo che dei due mali il minore per tutti questi paesi sarebbe quello di restare con Guardia anzicchè con Cerreto; ma francamente vi dichiaro che non essendo io amico delle mezze misure consiglio e prescelgo assolutamente la via diritta per ottenere la giustizia (**).

E il Piccirilli si affrettò a portare la correzione alla prima deliberazione secondo i suggerimenti del Pacelli. Pertanto, in data 1 aprile, rispose rassicurando il Pacelli con la seguente lettera:

"Mio ottimo Amico

Dividendo completamente la vostra opinione, e per eliminare ogni interesse abbiamo rettificata la nostra deliberazione per ricorrere al Parlamento Nazionale avverso la circoscrizione della nuova Provincia di Benevento. Adesso quindi portiamo fiducia che codesto Decurionato vorrà associarsi al nostro voto col sottoscrivere la deliberazione che vi rimetto con una lettera pel Sindaco, salvo facendovi il diritto di poter convalidare la stessa con tutti gli altri argomenti che giudicherete opportuni. Avrei piacere che rimettendo, dopo S. Salvatore, la deliberazione in Amorosi, sia accompagnata da una vostra lettera a Marco Maturi che saluterete da parte mia. Con gli auguri di don Giovanni Pingue, mi offro ai vostri comandi e mi ripeto.

Aff.mo amico servitore Domenico Piccirilli Guardia 1 aprile 1861.

E' importante sottolineare la stima di cui godeva il Pacelli nel circondano se, come risulta, personaggi autorevoli, sia pure a livello comunale non disdegnavano di ritenersi "servitori" dell'integro uomo politico di S. Salvatore. Ma si deve ritenere che il Pacelli nel frattempo avesse tentato, però, pacificamente, di indurre l'Ungaro ad appoggiare la giusta causa del circondano. Probabilmente assumeva impegni per qualche contropartita. Purtroppo non ci è possibile precisare i dettagli del tentativo, ma un fatto è certo che non si può prescindere dalla questione della circoscrizione. Riportiamo, quindi, una lettera relazione, di un messo del Pacelli, Giacinto di Petto, il quale si premura di informare il Pacelli, sull'esito di una delicata missione presso la famiglia Ungaro.

"Veneratissimo Signor D. Salvatore

al mio arrivo di ieri sera presentai ai Signori Ungaro la lettera, ma nell'animo del Sig. D. Titta e del Sig. Canonico D. Emanuele poca impressione fu fatta negli animi di ambedue. Intanto mi abboccai col Sig. D. Pasquale, il quale tiene molta prudenza e quanto tutto capì per la pace e concordia, facendo scusa alla Vs. lettera, e ieri sera si scrisse al Sig. D. Michele di non parlarne di questo affare ed il Sig. Padre scrisse coi termini, così voglio io, che tutto sia finito, Vi assicuro poi che D. Pasquale scriverà questa mane al Sig. Fratello D. Nicola e che nell'incontrarsi col S. Onorario (T. Colonnello onorario lacobelli?) dicesse che le trattative sono già incominciate, aveva molta ragione però l'ottimo S. D. Giovanni Pingue il quale tirava la Vs. mano portandovi sempre al dolce. La riflessione assai, portò l'ultimo articolo alla fine, parlando di titoli io dissi questo si applica al fatto della serpe che dice non mi toccare che io non ti tocco, basta così ringraziamo sempre il Signore. Non prima di sabato santo faremo una visita al Sig. D. Giovanni Pingue. Oggi vi servirò per l'affare del Sig. Guarnieri perchè tardi ieri sera. Vi prego pure dire alla signorina Vostra sorella che io giunsi a Cerreto alle ore 24 in punto, i fiori furono presentati a Vostra signora zia che vi saluta. Pronto sempre a ogni vostra esecuzione e mi ripeto con piena stima salutandovi tutti col Sig. Don Giovanni.

Vostro umilissimo servo Giacinto di Petto.

La lettera porta la data del 27 marzo ed è quasi interamente scritta in gergo, ma chiaramente si comprende che il Pacelli aveva tentato d'indurre l'Ungaro a desistere dal proposito di porsi contro tutte le popolazioni del circondano. Che cosa offriva Pacelli a Michele Ungaro?; non sappiamo. Ma da come si è capito, sebbene fosse riuscito ad ottenere anche la comprensione del vecchio D. Pasquale Ungaro, certamente la missione del Di Petto falli e, quindi, scattò la seconda fase dell'operazione, ossia la battaglia in campo aperto fra le due fazioni. Pacelli come sappiamo, aveva mobilitato i comuni dell'intero distretto e aveva fatto inoltrare da questi deliberazioni e petizioni al Parlamento. Al tempo stesso non cessava un solo istante di tenere mobilitata la pubblica opinione intorno al problema e, nell'adesione popolare alla sua tesi risiedeva tutta la forza della sua intransigente opposizione. Con Pacelli, insomma, si erano schierate nella loro totalità le comunità interessate. Ma perchè Salvatore Pacelli aveva tentato comunque, una sorta di compromesso con Ungaro? Lo chiarisce proprio la lettera del Pacelli a d. Domenico Piccirillo di Guardia inoltrata in data 24-3 dell'861. In quella lettera, come si è appreso, Pacelli si accorgeva della difficoltà della lotta, anche se da parte sua si erano schierate le intere popolazioni dei circondari. Michele Ungaro e Achille lacobelli, non agivano allo scoperto e sulle masse popolari. Ecco allora come cominciarono a vacillare posizioni apparentemente compatte ed incrollabili. Lo stesso Domenico Piccirilli di Guardia aveva inoltrato infatti al Parlamento, come si ricorda, una petizione non certamente intransigente e lineare, proponendo un compromesso che il Pacelli rimproverava, nella missiva del 24 marzo, considerandolo una carenza di linearità, carenza, che, tra l'altro, era già stata chiaramente espressa dai cerretesi. Perciò non gli restava che un ultimo tentativo: pagare ad Ungaro un prezzo pur di ottenere un soddisfacente risultato. Ma, probabilmente, nonostante l'appoggio di alcuni membri della famiglia Ungaro, (il padre e lo zio) come si apprende dalla lettera del Di Petto, l'offerta fu respinta. E così non restava che l'agitazione popolare. Infatti, in quei giorni, il Pacelli era in ogni Comune del Circondario: visitava sindaci, adunava amici, rincuorava gli sfiduciati entusiasmava i tiepidi. Contemporaneamente aveva impegnato, per la imminente battaglia in Parlamento i deputati delle altre Province interessate (Caserta, Avellino, Campobasso, Salerno). A dire il vero la paura di possibili cedimenti da parte di qualche sindaco del Circondano, costringeva Pacelli a sorvegliare, senza darsi un attimo di riposo, lo sviluppo della vicenda. Del resto era tutto ciò di cui disponeva come concreto strumento di lotta, nè doveva venir meno, poi, proprio il sostegno dei Comuni a quei parlamentari interessati direttamente o indirettamente al problema, i quali certamente preparavano concrete iniziative per l'accoglimento dell'opposizione al decreto luogotenenziale. Ed infatti, fu proprio l'On. Caso di Caserta a proporre in Parlamento l'approvazione di una legge mirante a sospendere il decreto luogotenenziale del 17 febbraio e rimandando la questione della circoscrizione territoriale di Benevento a data da destinarsi. In data 7 aprile, perciò, dal Deputato Beniamino Caso di Caserta venne presentata la proposta di legge che in un unico articolo era formulata nella maniera seguente: "La legge pubblicata dalla Luogotenenza di Napoli del 17 febbraio 1861 circa la formazione della nuova Provincia di Benevento rimane sospesa sino a che non sia giudicata possibile e conveniente dal Parlamento, allorchè questo dovrà votare la novella circoscrizione territoriale relativa all'organamento amministrativo generale del regno (62). Su questa proposta di legge la Camera dei Deputati fu chiamata a discutere il 15 aprile per decidere se la proposta stessa doveva essere presa in considerazione. Il relatore on. Caso, durante l'intervento, pose in evidenza la frettolosità della pubblicazione del Decreto del 17 febbraio del Luogotenente di Napoli, frettolosità che sicuramente era stata sollecitata da elementi interessati al provvedimento per motivi non certamente patriottici, giacchè, aggiungeva il Caso "i motivi di pronta unificazione italiana risultavano del tutto inesistenti". E poi, perchè la luogotenenza di Napoli aveva pubblicato il Decreto senza attendere il parere del Parlamento che pure era stato convocato per il 18 febbraio, ossia a distanza di un solo giorno dalla pubblicazione del decreto Luogotenenziale? Perchè tanta fretta? In realtà il decreto luogotenenziale, come poi svelò l'on. Grella di Avellino nella seduta del 15 maggio "era sorto sopraluogo" e tra persone che non conoscevano gli interessi, le condizioni e la posizione dei paesi (63). Grella sosteneva il vero, perchè non solo non vi furono persone interpellate in loco che avrebbero potuto dare un contributo responsabile alla soluzione della vertenza, nè esiste un solo documento che lo provi, ma vi fu una vera indignazione popolare, quando furono incaricate a riferire della novella provincia solo due persone, scelte tra i più accaniti sostenitori dell'annessione della zona di Terra di Lavoro a Benevento: Michele Ungaro e Antonio Ciccone. E ritornando all'intervento dell'On.le Caso, l'oratore pose l'accento anche sulla protesta ampia e clamorosa dei cittadini e delle amministrazioni comunali dei comuni di Terra di Lavoro attraverso le petizioni e le deliberazioni pervenute in Parlamento e, quindi, invitava la Camera ad approvare la legge di cui era il relatore. Alla relazione illustrativa dell'On.le Caso seguirono interventi di Torre, Deputato di Benevento, Massari di Bari, Napolitano di Caserta, Conforti di Salerno, Grella di Avellino ed altri. Infine il Presidente della Camera, On. Urbano Rattazzi propose un compromesso ponendo ai voti solo se si doveva prendere in considerazione la proposta di legge Caso, la quale, comunque, dopo prova e riprova fu presa in considerazione. I comuni della provincia di Terra di Lavoro nonostante che il compromesso proposto dal Presidente avesse avuto tutto il contenuto di una decisione salomonica ritennero d'aver vinta la prima fase della lotta. Il 9 maggio del 1861 fu costituita così una Commissione Parlamentare al fine di studiare a fondo la proposta di legge Caso e stendere una relazione da presentare al Parlamento. La Commissione era composta dagli Onn. Deputati: Urbano, Bruno, Torre, Grella, Pica, Conforti, Bonghi e l'On. Manlio Macchi come relatore. La relazione fu presentata alla Camera dopo solo quattro giorni Il 13 maggio. In verità come ebbe a dichiarare ancora l'On. Grella la "Commissione oltre a svolgere un lavoro affrettato e spesso arbitrario (non tenne conto di serie contestazioni dei comuni specie quelli della provincia di Terra di Lavoro e di Avellino) andò oltre i suoi compiti, trascurando quelli essenziali per cui era stata nominata". E aggiungeva che "la Commissione, piuttosto che approfondire la questione sulla legittimità del decreto Luogotenenziale e sulla opportunità della circoscrizione così come stabilita dal decreto stesso, si era limitata ad apportare solo una modifica alla circoscrizione territoriale, cosa, che, tra l'altro, non era affatto nei suoi poteri" (64). Gli interventi furono molti; si scatenò una vera battaglia oratoria tra i deputati delle varie province interessate; furono presentati emendamenti da più di una parte. Infine fu approvata la proposta dell'On. Caracciolo la quale era così formulata: "La Camera, fermo intanto il decreto del 17 febbraio, invita il Ministero a proporre nel più breve tempo possibile una legge per la circoscrizione territoriale per la provincia di Benevento udito il parere dei nuovi Consigli Comunale e Provinciale" (65). La proposta Caracciolo, a giudizio del Ministro degli Interni fu accettata perchè si doveva evitare ogni sospensione parziale del decreto del 17 febbraio. Infatti questa sospensione parziale della legge avrebbe arrecato, secondo il Ministro, seri disordini nelle varie branche delle amministrazioni civili, perchè i comuni interessati alla sospensiva non avrebbero saputo a quale provincia appartenessero, e quindi a quale pagare le imposte provinciali, e in che misura contribuire alla spesa pubblica. Era il 15 maggio 1861. La decisione della Camera segnava ormai la fine della nobilissima lotta di Salvatore Pacelli e conseguentemente il trionfo di Michele Ungaro e Achille Iacobelli. Infatti col primo giugno la nuova provincia di Benevento fu riconosciuta con la circoscrizione territoriale che comprendeva le annessioni dei seguenti circondari di Terra di Lavoro. Provincia di Terra di Lavoro cede a Benevento: Primo circondano di Cerreto - Cusano - Guardia Sanframondi - Solopaca - Airola - S. Agata de' Goti. Popolaz. sottratta 72.185 (66). Ma che cosa era accaduto dal 15 aprile al 15 maggio nei Circondari di Terra di Lavoro? L'azione di protesta dei cittadini e delle Amministrazioni Civiche fu intensa ed era stata del resto incoraggiata dallo stesso voto del Parlamento che prendeva in considerazione la proposta Caso mirante alla sospensiva del Decreto Luogotenenziale. Sicchè con la nomina della commissione Parlamentare si poteva quasi sicuramente sperare in una conclusione favorevole alla volontà dei cittadini. Perciò l'azione dei sindaci e delle popolazioni fu intensificata e Salvatore Pacelli non ebbe un solo attimo di tregua: adunava i cittadini, convocava i Sindaci, sollecitava petizioni e deliberazioni, manteneva impegnati i deputati che avevano accettato di sostenere l'opposizione popolare. Per l'Ungaro la partita sembrava definitivamente compromessa e, quindi, bisognava fermare ad ogni costo il Pacelli. E fu in questo periodo, secondo testimonianze ancora viventi, che si attentò alla persona fisica del Pacelli, presso il Comune di Puglianello. Sul ponte di S. Mennitto, infatti, contro l'indomito uomo politico di S. Salvatore aveva preparato una imboscata il capo-brigante Cosimo Giordano, insieme al fedelissimo luogotenente Albanese ed al Pilucchiello (67). Chi aveva sollecitato l'intervento del Giordano? A tutti erano noti i trascorsi politici che legavano Michele Ungaro ed il potente Iacobelli, ex borbonici, con l'ex caporale borbonico e capo dei briganti Cosimo Giordano e, quindi, non fu difficile ipotizzare che nella battaglia per la nuova circoscrizione territoriale di Benevento, Cosimo Giordano fosse dalla parte di Ungaro e Iacobelli. I briganti, poi, come è storicamente dimostrato e come documenteremo anche noi, in quel tempo, erano diventati i più accaniti sostenitori della restaurazione borbonica nel Napoletano ed erano, quindi, sempre solleciti a schierarsi con i vecchi potentati, solo apparentemente acquiescenti alla nuova situazione politica e comunque già inseriti a livello di potere nel nuovo ordine costituito (68). Perciò, Cosimo Giordano, il Luogotenente Albanese e il Pilucchiello tra il 20 e il 22 d'aprile prepararono al ponte di S. Mennitto l'imboscata a Salvatore Pacelli. Il Pacelli era solito recarsi ogni mattina in carrozza nei suoi possedimenti in Puglianello (contrada Marafi). La carrozza, quel giorno, era guidata da una guardia del corpo ed era scortata da un'altra guardia e dal fattore. Giunti in prossimità del ponte di S. Mennitto, dopo il bivio Puglianello - Amorosi, una delle guardie del Pacelli notò un movimento sospetto sotto il ponte ed immediatamente intuii che trattavasi di un appostamento. Ordinò, perciò, di rallentare la carrozza, facendone scendere il Pacelli, con il mezzo sempre in movimento, per non insospettire gli appostati. E fu così che il Pacelli, la guardia ed il fattore poterono immettersi in un tratturo seminascosto dalla vegetazione, guadagnare il bosco e portarsi in salvo verso Amorosi, dove si rifugiarono in casa di Marco Maturi. Intanto, la carrozza guidata dall'altra guardia prosegui la sua corsa verso il ponte da dove sbucarono simultaneamente il Giordano e i suoi complici, e ordinarono al guidatore di fermarsi. Fu proprio il Giordano a chiedere notizie del Pacelli e spiegazioni della sua assenza. Il guidatore rivelò che quel giorno, il capitano delle guardie nazionali aveva preferito non allontanarsi da S. Salvatore per ragioni di salute, affidando così a lui l'incarico di sbrigare le quotidiane faccende presso i coloni. La guardia, allora, venne insultata, ingiuriata e percossa dal Giordano reso furibondo dalla delusione. "Dì al tuo padrone, aggiunse, che Cosimo Giordano prima o poi gli farà la festa. E' per questo che non ti ammazzo! Va' e digli tutto a nome mio". Intanto la notizia della presenza di Cosimo Giordano al ponte di S. Mennitto si era diffusa nel comune di Amorosi e subito fu mandato sul posto un plotone di Guardie Nazionali. Ma il brigante aveva avuto, intanto, il tempo di guadagnare la montagna. Il Pacelli scortato dalle guardie, fatte venire anche da S. Salvatore, e da molti cittadini di Amorosi rientrò nel suo comune (69).

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NOTE

(54) - Carteggio Biondi.

(55) - Le firme dei padrini sono illegibili. La lettera è indirizzata al Presidente dell'Amministrazione Provinciale di Benevento On.le S. Pacelli; la busta reca un bollo del Ministero Interni nella parte posteriore. (Carteggio Biondi).

(56) - Atti del Parlamento Italiano - Legislatura XIV - I Sessione 1880-81, Roma, Tipog. Eredi Botta.

(57) - Carteggio Biondi.

(58) - Dei rapporti di Ungaro con Capuano e Biondi sono riportate alcune lettere nell'opera del Doria.

(*) - Carteggio Biondi. Lettera medita.

(59) - MELLUSI A., Rivista Storica del Sannio. Anno II, 1916, n. 5.

(60) - Carteggio privato di Salvatore Biondi

(61) - Lettera medita carteggio privato Biondi.

(**) - Carteggio Biondi. Lettera medita, 24.3.1861.

(62) - Atti del Parlamento Italiano - Sessione del 1861 - Documenti primo periodo (18-2 - 23-7-1861, pag. 264-65) Discussione della Camera dei Deputati, II Ed. Galletti e Trompeo - Eredi Botta - Tip. della Camera dei Deputati.

(63) - Atti del Parlamento Italiano, I Sessione - Documenti I periodo, Opera citata, pag. 632.

(64) - Atti del Parlamento Italiano, Sessione 1861 - Primo periodo, Opera citata, pag. 736.

(65) - Atti del Parlamento Italiano, Sessione 1861 - Primo periodo, opera citata, pag. 744

(66) - Atti del Parlamento Italiano, Sessione 1861 - Primo periodo, opera citata.

(67) - Si tenga conto che ci troviamo nel momento di maggiore recrudescenza del fenomeno brigantesco; siamo a soli tre mesi, infatti, dallo eccidio di Casalduni, provocato dalle bande filo-borboniche e da quelle di Cosimo Giordano.

(68) - Non esiste, inoltre, un solo documento storico che possa dimostrare la partecipazione di Michele Ungaro alla lotta contro il brigantaggio cerretese.

(69) - L'episodio è ricordato come è descritto dal Dott. Amedeo Pacelli vivente in S. Salvatore Telesino (BN).