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CAMPOCHIARO: IL FENOMENO DEL BRIGANTAGGIO

di: Antonio IANNONE

da:http://www.ratisweb.it/molise/CB/campochiaro/CULTURA/antonio_iannone/popolazione_di_campochiaro/defaul.htm

In qualche comune del Molise il fenomeno del brigantaggio assunse proporzioni maggiori e divenne una spina nel fianco del regno francese. Tale situazione fu denunciata anche da Biase Zurlo in una lettera spedita da Baranello il 9 febbraio 1810 all'intendente per far presente che il Circondario di Bojano, in base al nuovo piano di circoscrizione, risultava "troppo abbondante di Comuni", motivando la sua osservazione col fatto che "è un circondano alle falde del Monte Matese soggetto ad essere il nido di briganti e che richiede un'attività ed una vigilanza singolare". Il Comune di Campochiaro nel giugno del 1810 fu attaccato da una banda di briganti di Guardiaregia, che incendiarono "molte case site a qualche distanza dall'abitato". Furono "prese di mira soprattutto le masserie dei galantuomini, il bestiame venne trafugato e ucciso, rubati i preziosi e gli altri oggetti di valore, incendiati i mobili". Della banda dei briganti di Guardiaregia facevano parte anche dei campochiaresi, e perfino due sacerdoti. Infatti il giudice di pace di Bojano il 22 ottobre 1809 emise un mandato di "arresto del prete sig. Nicolantonio Bucci di Campochiaro [perché] imputato di criminosa corrispondenza con la comitiva di Guardiaregia". Durante la sua deposizione del 29 dicembre 1809 presso la Corte Criminale di Molise di Campobasso il Bucci dichiarò "che nella fine del mese di settembre corrente anno 1809 nel mentre usciva da sua casa in Campochiaro sua Patria allorché potevano essere circa le ore sedici per portarsi in un suo podere, s'incontrò in un vico di quell'abitato con una persona armata a lui ignota, ma credé essere un brigante, il quale lo fermò e condusse in mezzo di detto abitato luogo detto La Madonna, che è appunto nella Piazza, dove trovò circa 40 Briganti tutti armati, e fu presentato al Capo di detta Comitiva, che intese chiamarsi Giovanni. Indi da taluni individui di essa Comitiva gli furono consegnati carlini diciotto in monete d'argento coll'incarico di celebrarne tante messe, essendo egli sacerdote, ed egli se li ricevé. Nell'atto stesso da detti Briganti gli fu dato a bere del vino, e gli fu dato pure un uovo, che egualmente si ricevé: e siccome uno di essi Briganti era dolente, perché dal Tavernaro aveva ricevuta l'insalata senza condimento, cosi esso sacerdote Bucci gli disse che non si fosse inquietato, e spedì sul fatto un ragazzo al riferito tavernaro, acciò avesse posto sulla insalata l'olio e l'aceto, soggiungendo a detto ragazzo che, se il tavemaro non voleva condirla, fosse andato in sua casa". Che il Bucci aveva mangiato coi briganti "avanti il largo della Madonna fu confermato da Donatantonio Lombardi di Girolamo il quale testimoniò che "mentre il Bucci mangiava. uno de' Briganti gli disse: "Tu che sei prete, non ti vergogni di mangiare co Briganti?" . AI che il Bucci rispose: "Mi trovo bene con tutti e mangiar frutti in piazza è lecito a tutti". Anche il tavernaro Pietrantonio Purchio di Tommaso, che gestiva l'unica osteria presente a Campochiaro, testimoniò che "... Un giorno dalla finestra della taverna [vide] che i briganti di Guardiaregia stavano avanti il largo della Madonna, ed in loro compagnia vi era il sacerdote Nicolantonio Bucci, Pietro Castrillo di Giovanni, Nicola e Pasquale Bilotta di Agostino ed Antonio Sbarra di Basilio". Il barbiere Giuseppe Rano di Orazio, inoltre, dichiarò che "i briganti si portarono nella spezieria di Girolamo Lombardi di Domenico a bere rosolio, e trovando[si] davanti la spezieria [insieme con] Agostino Bilotta, padre del soprannominato Pasquale e Nicola, il capo dei Briganti Giovanni Giannantonio di Guardiaregia. nel vedere il suddetto Agostino, accennandolo allo speziale disse: "Da' l'acquavite alla spia nostra. Che verso la fine del di seguente mese di ottobre di detto corrente anno in un giorno, di cui non gli sovvenne il preciso, e propriamente verso le ore ventidue, essendo esso sacerdote Bucci nella sua abitazione, vi fu carcerato dal tenente Mucciacciaro unico ad altri Gendarmi ausiliari, e tradotto nel quartiere. da dove dopo tre o quattro giorni se ne uscì, e si portò in Campobasso dal suo avvocato Nicolangelo Mascilli, il quale gli formò una supplica per il detto Intendente. Quindi colla occasione di trovarsi esso sacerdote Bucci in questa città stimò opportuno di presentarsi al Comandante della Provincia, a cui disse di essere stato carcerato per aversi bevuto del vino offertogli da detti Briganti, e per aver avuto poco denaro per messe da medesimi e che lo stesso detto Comandante gli diede una lettera per il detto Comandante Gallone, che trovavasi in Sepino, a cui la presentò, ed ottenne dal medesimo Gallone una carta di assicurazione. Successivamente, essendosi portato in Bojano per suoi affari, venne colà arrestato da quei Gendarmi, e tradotto nuovamente al Corpo di Guardia, da dove fu trasportato in Campobasso". In realtà, mentre era detenuto nelle prigioni di Bojano, il Bucci fuggì, ma il 30 novembre 1809 fu emesso un secondo "mandato di deposito", dopo di che venne assicurato alle prigioni di Campobasso. Le Brigate di Bojano, invece, "in forza di mandato d'arresto del procuratore legale presso la Corte Criminale di Molise, l'8 dicembre 1809 [si portarono] nella Comune di Macchiagodena. per rinvenire il sacerdote D. Giosuè Berardinelli nativo di Campochiaro, imputato di complicità e corrispondenza coi Briganti. Il suddetto [fu rinvenuto] nel Monastero dello Spirito Santo e, [dopo avergli] intimato il mandato di cattura, (...) [fu] arrestato, e condotto nelle Forze di Bojano. Durante la deposizione del 29 dicembre 1809 presso la Corte Criminale del Molise di Campobasso il detenuto Giosuè Berardinelli dichiarò che "ne principi del mese di ottobre del corrente anno 1809 verso le venti penetrò in Campochiaro la Comitiva di Guardiaregia. e si fermò nella Piazza dove si pose a mangiare, ed esso sacerdote Berardinelli, essendosi trovato presente. fu invitato anche a mangiare; ma perché si cibavano di carne, egli ricusò di farlo, onde fu che da diversi di quei Briganti fu unita la somma di circa docati quattro, e gli fu consegnata coll' incarico di celebrarne tante messe giusta la loro intenzione. (...). Quindi verso i principi del mese di novembre dello stesso corrente anno, essendosi esso Berardinelli [recato] in Macchiagodena in casa di suo fratello, fu colà carcerato da soldati corsi, e tradotto in Bojano. da dove fu trasportato in Sepino presso il sig. Comandante Gallone, il quale dopo diciotto giorni di carcere [lo] scarcerò con ordine di fare gli esercizi spirituali per due mesi nel monastero di S. Spirito in Macchiagodena". Il 14 ottobre 1810 la Corte Speciale della Provincia di Molise, con uniformità di voti, deliberò "che i suddetti sacerdoti Giosuè Berardinelli e Nicolantonio Bucci [fossero] posti in libertà provvisoria sotto la sorveglianza della Polizia, giusta il disposto dell'art. 197 del Regolamento de ' 20 maggio 1808". Tra gli altri campochiaresi aderenti alla comitiva dei briganti di Guardiaregia c'era Pasquale Biondi, il quale il 9 giugno 1809 disse al giudice di pace di Bojano "che nell'andare sulla montagna nel dì 11 del corrente, nel luogo detto l'Inturzaturo incontrò otto briganti armati di tutto punto, i quali lo arrestarono e lo tradussero seco suo per vari luoghi del Matese, che erano ben provveduti di viveri, e che vegliavano più la notte che il giorno sempre coll'orologio alla mano, minacciavano la popolazione di Campochiaro come quella che si era prestata per l'esterminio di tre loro compagni, onde veniva anche egli continuamente minacciato della vita. Ieri la sera poi trattenendosi sulle Frontiere al Matese, il Capo Giovanni Giannantonio disse in faccia al Brigante Ermenegildo Capparelli di Campochiaro: "Noi anderemo ad infocare la massaria dell' arciprete di Guardiaregia, e voi andate ad infocare quella del vostro Arciprete, o qualunque altra vi piace ". Difatti si incamminarono per tale funesto scempio. lasciando il detenuto Biondi alla custodia del Brigante Giuseppe Monaco. Qui ad un poco si vide acceso un gran fuoco fra le Massarie di Campochiaro, e circa le ore quattro ne tornarono nel luogo della Fonte Franconi i Briganti, e dissero di aver adempito alli minacciati incendi, ed indi lo sciolsero da' lacci, ponendolo in libertà". La massaria che fu incendiata apparteneva a Brigida del fu Agostino Calleo, vergine in capillis e sorella dell'arciprete Giuseppe Calleo, posta "in luogo dicesi il Vallone, o altrimenti li Vignali, distante dell'abitato circa un terzo di miglio". Il 14 giugno 1810, nella sua deposizione davanti al Sindaco, Brigida CaIleo dichiarò che, in base al racconto fatto dal fratello Vincenzo, che dormiva nella masseria insieme con un garzoncello di nome Gervasìo, "le persone le quali avevan posto fuoco alla detta masseria eran Paesane (...). e non Briganti, come s'era sparsa la voce per il Paese, giacché se fossero stati Briganti, questi non avrebbero cercato col cappello covrirsi il volto per non farsi conoscere, siccome opinava ogn'altro che intese un tal racconto fatto dal Vincenzo ". Brigida Calleo denunciò l'accaduto, ma non sporse querela perché aveva soltanto dei sospetti. Fu determinante. invece, per mettere sotto accusa il Bucci la testimonianza di Vincenzo Giannone fu Pasquale, deposta davanti al giudice di pace di Bojano il 16 ottobre 1810. Il Giannone disse che "a tredici del suddetto corrente giugno verso le ore due e mezza di notte si vide acceso il fuoco nella masseria a fabrica della cennata Brigida Calleo (...) per cui tanto esso testimonio quanto il sig. Gaetano Lombardi ed altri Galantuomini e Contadini sortirono di casa recandosi avanti il Largo detto della Madonna al suono di campana a martello, chi armato di fucile e chi di accetta pattugliando in seguito il Paese fino alla mattina seguente del 14 opinando da ognuno che gli autori dell'incendio fossero stati i suddetti Briganti (...). La mattina suddetta del 14 si vide tornare in Patria il Pasquale Biondi il quale pubblicamente disse che avendolo i Briganti preso a forza era stato con essi per tre giorni in alcuni luoghi del Matese sempre però custodito e che la notte de ' 13 Ermenigildo Capparelli del suddetto Comune di Campochiaro unitamente con altri tre Briganti di detta Comitiva erasi portato ad incendiar la cennata massaria di Brigida Calleo, nell'attocché il Capo della masnada Giovanni Giannantonio, alias Cicconetta, erasi condotto ad incendiar quella del Signor Arciprete di Guardia Regia, e che egli dietro tali eccessi era stato licenziato nel locale dicesi Le Fontanelle da un tal Giuseppe Monaco Brigante di Guardia Regia. che lo teneva in custodia, soggiungendo ch'avrebbero detti Briganti commessi altri incendi ed omicidi ancora a danno d'esso Testimonio (= Pasquale Giannone), del Sig. Gaetano Lombardi, del Sig. Francesco Pittarelli ed altri suoi Paesani. Il giorno medesimo de' 14 s'ebbe a notizia che nel cennato locale detto Fontanelie eravi il suddetto Giuseppe Monaco insieme con Nicola Mastrogiacomo brigante anch'esso di Guardia Regia, oggetto fu questo che spinse tant'esso Testimonio che altri 22 suoi Paesani ivi sopra armati verso un'ora e mezza di notte, ove impostati si trattennero l'intiera notte fino alla mattina seguente senza però aver veduto nessuno (...); poi si portarono nella casetta sita sul Matese per averne qualche traccia. Nel mentre colà si trattenevano per riposare un poco vi si portò ancora Giuseppe Verruto (...). il quale rapportò che la mattina medesima de' 15, pria ch'egli si fosse ivi condotto, era stato arrestato il detto Pasquale Biondi come incendiario della masseria di Brigida Calleo, e ch'egli stesso dopo l'arresto scortato da due Civici erasi recato a prendere uno schioppo ed una Patroncina, che teneva nascosto poco distante dalla massaria, dicendo essere de Briganti (...) e verso le 14 del detto giorno 15 così unitamente esso Testimonio e gli altri suddetti Paesani armati s'inoltrarono all'interno del Matese, e propriamente verso Le Carboniere, ove facilmente potevansi trovare annidati i suddetti Briganti, ma siccome pria di giungervi s'incontrò per istrada Michelangelo Capparelli di Nicola, che custodiva per que' luoghi alcune vaccine, così questi rapportò che il giorno avanti, cioè ai 14, giusto quando il Biondi tornò nel Paese, avendo trovato casualmente nelle Lisce l'Ermenigildo Capparelli e il Caporale Giovanni Giannantonio, gli avevano questi detto di portare imbasciata al Biondi di rimandare loro lo schioppo, patroncina e baionetta, di cui l'avevano armato dopo [che] essi [avevano] ammazzato un certo Civico di Guardia Regia nell'attocché questi insieme con altri scortava i suoi Paesani a Cerreto, soggiungendo di più che con dette armi se n'era fuggito la suddetta notte del 13, quand'egli unitamente coll'Ermenigildo s'era recato ad incendiare la massaria di Brigida Calleo, e che intanto da essi erasi armato, giacché egli il Biondi volontariamente e non per forza s'era unito alla Comitiva facendosi Brigante. non ostante d'essere stato avvertito da esso Caporale Giovanni Giannantonio di ciò che faceva. Soggiunse inoltre esso Michelangelo Capparelli ch'egli invece di portare quest imbasciata al Biondi l'aveva rapportato al Sig. Gaetano Lombardi, e che questi di concerto col Sindaco l'aveva fatto perciò arrestare (...). Il 16 essendosi esso Testimonio recato in Bojano dal Sig. giudice di pace per alcuni suoi affari, e passando per davanti il carcere, ove trovavasi detenuto il Biondi, questo dietro i rimproveri dallo stesso fattigli, gli ha confessato vero l'incendio della massaria di Brigida Calleo, sostenendo però coazione per parte de' Briganti, il che da esso Testimonio non si è affatto creduto, [ma ripose] piena credenza di quanto dal Michelangelo Capparelli fu rapportato sì pel motivo poc'anzi esposto, sì anche perché lo stesso [era] stato sempre in corrispondenza co' cennati Briganti tantocché nello scorso anno, quando i medesimi di frequente infestavano il cennato Comune di Campochiaro, egli ci andava insieme cantando per l'abitato, come pure perché conservava odiosità col Sig. Arciprete di detto Comune germano della Brigida Calleo per certa razione di dritti matrimoniali, ed anche perché persona diffamata. e di tutta mala indole". Sulla base della testimonianza del Giannone il Procuratore presso la Corte Speciale di Molise il 18 settembre 1810 accusò formalmente Pasquale Biondi "di complicità equivalente al delitto principale in tutti gli eccessi della Comitiva del Matese, d'incesso con armi per la campagna in comitiva di briganti, e d'incendio di luogo abitato, in forza delli artt. 22 e 214 della legge penale e del Real Decreto degli 8 maggio 1809". E la Corte Criminale di Molise "considerando che Pasquale Biondi aveva sostenuta una segreta corrispondenza colla Comitiva de' Briganti annidata sul Matese; che serviva loro di spia e frequentemente andava a visitarli. Considerando che nel mese di giugno del corrente anno 1810 egli il Biondi si associo apertamente con detti Briganti, e venne armato con uno schioppo di un Civico di Guardia Regia, sebbene egli sosteneva di essere stato preso a forza. Considerando che nella sera del 13 dello stesso mese insieme con tre altri Briganti armati si portò ad incendiare la massaria abitata di Brigida Calleo di Campochiaro, e dell'arciprete suo fratello per odio ingiustamente concepito contro di esso Arciprete cagionando il danno di docati centosessantaquattro. Considerando infine che col Regal Decreto del dì 1 luglio 1809 al n. 12 sta prescritto che i rei nei quali si cumulano delitti di competenza delle corti ordinarie e delle corti speciali saranno giudicati così per gli uni come per gli altri dalle Giurisdizioni Speciali in esecuzione delle ordinarie, il 22 settembre 1810 [dichiarò] che la causa [era] di competenza della Corte Speciale in forza dell'art. primo n. 5 e 7 del R. Decreto del dì 1/7/1809". La suddetta Corte, poi, "considerando che dal detto di più testimoni dell'istruzione risultava che era colpevole dei reati ascrittigli, con sentenza del 18/10/1810 non ebbe dubbi "che la pena dovutagli [fosse] quella della morte esemplare giusta il disposto dell'art. 114 e 116 della legge penale de' 20/5/1808, perciò "coll'uniformità di tutti i voti" condannò Pasquale Biondi "a dover morire sulle forche, da erigersi nella piazza di Campochiaro sua patria, rimanendo sospeso sulle medesime il di lui cadavere per lo spazio di 12 ore, e col successivo monumento perpetuo d'infamia, che tramandi alla posterità il di lui nome accompagnato dalla memoria del delitto". Una ulteriore conferma della grave situazione (forse un po' esagerata dal supplicante) che si era determinata a Campochiaro nei primi decenni del secolo XIX viene dalla supplica che rivolse Berardino Cardillo all'Intendente del Molise nel 1810 quando "Prese dunque il possesso della sua carica [di sindaco] (...) nel dì ventidue di Gennaio di detto anno, nel dì ventitré dello stesso mese cominciò il supplicante ad essere visitato dalle truppe. Nel prosieguo dell'anno di sua Amministrazione, quasi interrottamente concorsero truppe in numero eccessivo, e come mancavano le truppe, così venivano i maledetti Briganti, sicché il supplicante in un anno di sua Amministrazione non ha avuto altre, che truppe e briganti, ed è stato sempre tra le sciable de' Militari ed i fucili e bainette de' briganti. Non ostante il pericolo di sua vita, non mancò mai il supplicante di somministrare quanto occorreva alle Reali Truppe, e per sfuggire le sciablate de' medesimi era costretto a darli anche quello, che non li si doveva. Per scampare la vita dalle mani de Briganti, era costretto il supplicante a darsi in fuga ogni volta che correva notizia della loro venuta , giacché una sola volta che ebbero alle mani il supplicante ed un di lui figlio di nome Domenico, miracolosamente sfuggirono la morte e detto di lui figlio ebbe già varie puntunate di fucile, motivo per cui anche detto suo figlio come li riusciva doveva darsi in fuga per il gran terrore che gli avevano causate le puntunate suddette. Sicché restava in casa del supplicante la di lui Moglie Teresa Falconi per custodia della sua tenera famiglia: ma i Briganti maledetti corrivi di non trovare mai più il supplicante nel Paese, si portavano in casa del supplicante istesso e colle minaccie di voler mettere fuoco alla casa e di voler uccidere ella e la tenera famiglia, forzosamente la portavano per lo Paese e si facevano procurare e somministrare quanto essi domandavano, e fu tanto il terrore che la suddetta Moglie del supplicante concepì che cadde inferma, e vi lasciò la vita (...) l'anno di Amministrazione è stato un anno di pene, un anno di terrore, un anno di flagelli, anno che finalmente consumò quanto vi era nella sua casa di pane, di salame, di formaggio, di legumi. In oltre vi perdé la Massaria che gli fu infocata vi perdé la Moglie e la casa è rimasta esausta ed ammiserita". Ma il fenomeno non era circoscritto al Comune di Campochiaro, bensì piuttosto diffuso, come risultava dalla relazione che l'Intendente del Molise inviò 1' 11 maggio 1811 al Ministro dell'interno, nella quale riferiva sullo stato del brigantaggio provincia di Molise, informando che "I briganti di Guardiaregia al numero di tre, con altri due di Pietraroia e di Campochiaro si fecero vedere la notte del 7 c.m. sul Matese. Ciò significa che dai boschi della Basilicata e di Puglia in cui erano annidati per l'innanzi, sono ora risaliti sui monti. All'annunzio della loro apparizione tutte le disposizioni si sono da me date per assicurare l'esterminio o l'arresto. La forza straordinaria riunita sotto gli ordini dei bravo arciprete di Guardiaregia è principalmente incaricata di questa missione. Essa si è portata nella notte degli 8 de' 9 sul monte, ma non riuscì ad affrontarsi coi briganti (...). I briganti di Guardiaregia sono invisibili benché restino tuttavia sul Matese. Si sono disposti degli agguati per fari i cadere nelle mani della giustizia. Ma la vasta estensione di quel monte e la precauzione estrema dei briganti, deludono finora, queste misure". Secondo alcuni studiosi, il fenomeno del brigantaggio durante il decennio francese non fu altro che espressione di vera e propria delinquenza che si manifestò per desiderio di vendetta e giustizia contro nemici personali. Tuttavia non si può escludere che esprimesse anche una forma di protesta contro la situazione economico-politica e contro il sistema di tassazione.

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