Copyright - 1999 - 2001 - © Fioravante BOSCO - Tutti i diritti riservati - Visualizzazione consigliata 800x600

 On. Giuseppe Pica

 

Giuseppe Pica, originario dell'Aquila, era stato arrestato per aver partecipato ai fatti del maggio 1848; dopo il 1860 fu deputato della destra e legò il suo nome alla famigerata "Legge Pica", pubblicata il 15 agosto 1863, che stabiliva la competenza dei tribunali militari per i reati di brigantaggio.

Giuseppe Pica (1813 - 1887)

da: P.Q.M. I/99 di: Bruno Sul

La "legge Pica" costituì indubbiamente, dopo la raggiunta unità italiana, il mezzo per la "soluzione finale" di quel complesso problema sociale che la storiografia ufficiale ha di solito etichettato come "brigantaggio postunitario". Il suo autore, Giuseppe Pica, era un avvocato abruzzese definito dalla giustizia borbonica "inquieto e amatore di novità politiche". Nato a L’Aquila il 9 settembre 1813 e laureatosi in giurisprudenza a 21 anni, aveva esercitato con successo la professione forense, distinguendosi per profondità di dottrina in processi celebrati innanzi la Gran Corte Civile degli Abruzzi. Parallelamente aveva svolto attività politica che gli valse un primo processo ed una condanna per la quale fu detenuto per sette mesi. Trasferitosi a Napoli fu eletto deputato di Aquila al Parlamento napoletano del 1848 nel quale ebbe l’incarico di componente della commissione di finanza e contabilità, con delega specifica all’esame dello "stato discusso" (il bilancio) dei ministeri di grazia e giustizia e del culto. In aula si distinse per gli interventi sul riordino della guardia nazionale, che costituì uno dei pochi temi trattati nella breve vita di quell’assemblea. Presentò, inoltre, un disegno di legge tendente a vietare ai giudici di udire in privato nelle cause civili e commerciali le informazioni sia dalle parti che dai patrocinatori ed avvocati, e che prescriveva che le parti ed i loro difensori dopo le conclusioni dovessero essere intesi in contraddittorio dal giudice "commessario" (istruttore) della causa ed anche dal presidente del collegio giudicante prima della discussione. Per la partecipazione ai dibattiti subì, naturalmente, dopo lo scioglimento dell’assemblea, un arresto ed un lungo processo conclusosi con una condanna a 26 anni di ferri per i suoi precedenti di "irrequietezza" e per cospirazione contro la sicurezza dello Stato. Scontò la condanna per sei anni nei bagni penali di Procida e Montesarchio ed alla fine del 1858 ebbe commutata la pena nell’esilio perpetuo in America. Come altri patrioti sbarcò in Irlanda e, dopo un soggiorno di due anni a Londra, rientrò a Napoli, liberata da Garibaldi, nell’ottobre del 1860. Riprese l’esercizio dell’avvocatura sia innanzi la Corte di Cassazione di Napoli che, successivamente, innanzi quella di Roma. Insegnò diritto criminale nell’Università di Modena e fece parte della Consulta di Stato. La mai sopita passione politica gli procurò il mandato parlamentare per l’VIII legislatura (1861-1865). Durante l’esercizio di questo mandato propose - e la Camera votò - la legge del 15 agosto 1863, detta comunemente "legge Pica" che rimase in vigore fino al 31 dicembre 1865.I due più importanti istituti della legge furono i tribunali militari che funzionarono a pieno ritmo, con abusi di ogni genere dovuti ad una interpretazione molto estensiva della legge stessa, e le giunte provinciali per l’invio a domicilio coatto. In questo modo lo Stato risolse definitivamente - o quasi - il problema del cosiddetto "brigantaggio". Giuseppe Pica diede, comunque, più di una prova della sua lungimiranza politica, così come quando, nel 1861, con altri deputati abruzzesi si oppose alla straordinaria leva militare nelle province meridionali, osservando - contro l’opinione di Cavour - che questa leva avrebbe fatto affluire nelle file del "brigantaggio" altre migliaia di reclute, il che puntualmente si verificò. Ritiratosi dall’agone politico, tornò all’esercizio forense replicando i successi giovanili. Fu nominato senatore nel 1873 e si spense a Napoli l’ultimo

 

HOME PRINCIPALE